2016-2017: 4 destini per 4 “Nove” diversi

Solo due stagioni fa si assisteva alla contemporanea esplosione di 4 giovani numeri Nove, alla loro prima grande stagione nel calcio di livello. Come è cambiata la loro carriera da quel momento?

“Sottile linea tra paura e gloria, se non resteranno i nomi resterà una storia”

Quando un giocatore non riesce ad imprimere la propria firma ad altissimi livelli nel corso della propria carriera, cerca quantomeno di essere ricordato dai tifosi per un breve periodo di overperformance. Dei cosiddetti fuochi di paglia è piena la storia del calcio: giocatori che hanno giocato una stagione di alto livello per poi dissolversi. In Inghilterra li chiamano one season wonder: giocatori che non hanno impresso il loro nome nelle memorie, ma hanno lasciato agli appassionati momenti di pura onnipotenza. Se non restano i loro nomi, dunque, resta una storia, proprio come nel verso di Teatro e Cinema, uno dei singoli meglio riusciti di Ragazzi madre, album di Achille Lauro pubblicato nel novembre del 2016.

Nello stesso inverno in cui l’artista romano pubblicava il suo terzo album, alcune di quelle storie scorrevano parallele, cominciavano a prendere forma per entrare nell’immaginario del pubblico calcistico, che ha archiviato fin troppo velocemente una stagione che fu vorticosa e importante (segnando, tra le altre cose, l’inizio del ciclo di questo Ajax). Durante quella stagione si ebbe un’improvvisa proliferazione fuori norma di Numeri 9, che sebbene non fossero proprio arieti d’area, erano (e sono) giocatori che esprimono le loro qualità migliori negli ultimi 20 metri. Alcuni di loro avevano particolarmente impressionato e, nella stagione della loro esplosione, sembravano pronti a spiccare il volo verso una carriera da campioni. Quattro punte, quattro destini che hanno preso pieghe diverse e per certi versi inaspettate: chi di loro ha saputo sfruttare il momentum e dare un impulso alla propria carriera?

KASPER DOLBERG, L’INTRUSO

Guardando il match di mercoledì giocato tra Ajax e Tottenham, era impossibile evitare lo sguardo e i movimenti di quel giovanissimo attaccante dei Lancieri, schierato a sorpresa da prima punta. Oggi Kasper Dolberg si approccia al gioco del calcio come fosse un pensionato d’oro che si è già lasciato scorrere gli anni migliori della carriera, ma non ha ancora compiuto 22 anni. Questo vuol dire che è più giovane sia di Frenkie de Jong che di van De Beek, i due gioiellini del vivaio ajacide che tanto hanno dimostrato durante questa folle campagna europea. Eppure la prestazione di Dolberg sfoderata contro i londinesi trasmette uno sconforto senza pochi pari: rarissimo coinvolgimento nel gioco, poca cattiveria sui palloni decisivi, tendenza a “nascondersi”. Vedere un giocatore così estraniato all’interno di un contesto di squadra arioso e preciso sembrava un grande controsenso.

La passmap dell’Ajax di mercoledì scorso: Dolberg è completamente escluso da ogni sviluppo di gioco.

Prima di mercoledì lo si era visto all’opera in Europa per una manciata di minuti contro il Real, sempre alla “Johan Cruyff Arena”: nel suo score un tiro a pochi metri da Courtois sparato alle stelle, l’ennesima occasione sciupata di un’annata deludente, la seconda di fila.  Sono passati solo due anni da quel periodo d’oro in cui Kasper sembrava il Re Mida della squadra olandese, la nuova sensazione delle Eredivisie: un attaccante completissimo in quanto tecnico, agile e fisico il giusto.

Insomma, Dolberg sembrava un numero 9 con i controfiocchi.

La firma sulla finale di Europa League porta il suo sigillo (gol all’andata e al ritorno contro il Lione, in una delle doppie sfide più belle degli ultimi tempi). Un’annata con 23 reti e diversi lampi da fenomeno offuscata dalle due stagioni successive cupe e negative. In realtà quest’anno Dolberg ha segnato 11 reti in campionato, ma la cosa che impressiona è che sono arrivate tutte all’interno di goleade (ad eccezione di uno 0-2 dove è stato proprio il danese a sbloccare il risultato).

Oggi il suo nome rievoca solo una triste e banale associazione alla figura del fantasma che sembra essersi impossessato della sua voglia di giocare a calcio.

Come sottofondo di questo video, Bob Marley (e i tifosi biancorossi ad ogni intervallo) canta “Every little thing’s gonna be alright”. Dolberg vorrebbe tanto che fosse così oggi. Momenti migliori del video: il gol contro il Pec Zwolle da 0:47 in cui mostra il repertorio completo del grande attaccante, con finte, cambi di passo e una discreta stecca dalla distanza; il gioiellino di tecnica contro il Celta Vigo a 1:23; la girata di mestiere contro il Copenaghen a 2:24 e lo scavetto con cui elimina il Lione dall’Europa League a 3:22, a chiudere una delle doppie sfide europee più belle degli ultimi anni. Quel Kasper Dolberg era un giocatore leggero che volava sulle ali dell’entusiasmo, quello di oggi deve ricostruire autostima e caratteristiche tecniche. Il danese ha ancora tanti anni davanti a sé, ma ha bisogno di rimettersi nelle condizioni psicofisiche migliori il prima possibile.

ANDREA BELOTTI, NEL LIMBO

Andrea Belotti è l’unico di questo lotto che prima di questa stagione era già arrivato in doppia cifra. L’aveva fatto addirittura tre volte: trascurando le due con la maglia dell’Albinoleffe (11 reti in Serie C1) e del Palermo (10 in B), la stagione dei 12 gol con la maglia del Toro, precedente alla 2016-17, aveva già lasciato ottimi segnali per il proseguimento della carriera del Gallo. Fino a quell’anno il centravanti bergamasco si era sempre fatto notare come un buonissimo giovane attaccante, ma con un solo neo: la finalizzazione. Generosità, sponde, collaborazione in fase offensiva le sue migliori qualità. Prima dell’arrivo sulla panchina granata di Sinisa Mihajlovic. Il mister serbo potrà avere diversi difetti dal punto di vista tattico, ma l’esaltazione della fase offensiva è un punto comune di ogni squadra allenata nella sua carriera. Esattamente come con il Bologna adesso, l’ex difensore di Lazio e Inter ereditò una squadra abituata al 3-5-2 per tramutarla in un 4-3-3. Belotti centralmente, Iago Falque e Ljajic (richiestissimo dal mister) ai suoi lati per creare un tridente ad alti ritmi che facesse impazzire le difese avversarie.

Ed è esattamente quello che succede.

La stagione della squadra di Cairo non finirà negli annali, conclusa al 9° posto molto distante dall’Europa, ma Belotti sfodera in continuazione le sue qualità migliori, finendo la stagione con 26 reti e 8 assist. E’ la stagione dei rigori sbagliati (3 in totale, di cui 2 nelle prime due partite) che non inficiano minimamente però un campionato ai limiti della perfezione. L’attaccante ex Palermo è una forza della natura: fisicamente in grande forma, protegge palla per far salire la squadra, esegue le semplici consegne di Miha alla perfezione, scaricando palla sugli esterni all’inizio dell’azione per poi buttarsi in area di rigore ad attendere il pallone. Belotti segna davvero in tutti i modi: di testa prendendo posizione sui difensori avversari (la sua specialità), in girata (quello contro il Palermo, bellissimo), mangiandosi il campo in transizione (come contro il Pescara). Ogni tiro, ogni colpo di testa dell’attaccante granata trasmette l’energia di un uragano, che è la rappresentazione più simile alle prestazioni di Belotti in quell’anno di grazia.

https://www.youtube.com/watch?v=uMWb0uKQhhY

Andrea Belotti è un ragazzo genuino, vero, umile. Non avendo a disposizione mezzi tecnici da fenomeno, si mette in gioco ogni anno per migliorare ogni singolo gesto, ogni atteggiamento. Durante quell’anno indossa anche per la prima volta la maglia della Nazionale, arrivando a collezionare 9 presenze (e 3 reti) da settembre a giugno. I complimenti si sprecano per lui, Cairo gli fissa una clausola da 100 milioni per l’estero che col senno di poi suona un po’ come una condanna per il ragazzo. Un triste presagio di cosa sarà la stagione successiva si vede il 2 settembre al Santiago Bernabeu. Dopo un inizio scoppiettante con il club, con quella storica rovesciata al Sassuolo che sembra poter permettere a Belotti di continuare sul solco intrapreso l’anno primo, l’Italia cade contro la Spagna perdendo per 3-0 nella serata in cui Isco abusa della difesa italiana. Belotti è titolare ed in un certo senso vittima della sterilità tecnica di quell’Italia, vuota a centrocampo e nelle idee.

Il peggio deve ancora arrivare per lui.

La stagione di Belotti precipita in un pomeriggio di inizio ottobre in cui l’ennesima rincorsa della sua partita si trasforma in un’arma a doppio taglio: il Gallo si fa male al ginocchio, rischia il crociato e rimane un mese fermo. Dopo una sola marcatura messa a segno in due mesi, il riacuirsi del problema lo tiene fermo per altri 20 giorni. La stagione negativa non impedisce a Belotti di arrivare ancora in doppia cifra: 10 gol che gli permettono di arrivare alla terza (con quella di quest’anno sono 4) stagione consecutiva in cui ha raggiunto questo traguardo. Quell’infortunio sembra ancora influire sul giocatore che è oggi Andrea. La perdita di potenza nei movimenti è un tratto che ha danneggiato Belotti sul lungo periodo, ma lui, proprio grazie a quella capacità di crescere sempre, ha saputo mantenere standard di livello più che buoni: quest’anno sono 14 le reti, a 3 giornate dal termine. Se qualche squadra di alto livello decidesse di puntare su di lui, la prossima potrebbe essere la stagione dell’esplosione definitiva per il natio di Calcinatte. Per ora, Belotti rimane nel limbo.

PATRIK SCHICK, IL GRANDE BLUFF

All’inizio della finestra di mercato 2016, Walter Sabatini sta cercando un attaccante di riserva per Edin Dzeko. La sua indole lo porta a cercare un giocatore poco scontato. L’affare tra Sparta Praga e Roma per Patrik Schick sembra chiuso a fine giugno: mancano solo le firme. Succede che lo Sparta chiede un milione in più, la Roma non ci sta e si inserisce la Sampdoria, che per 4 milioni finalizza l’affare. Patrik Schick è un nuovo attaccante dei blucerchiati.

Un anno dopo la Roma si pentirà di questa mossa, ma questa è un’altra storia.

I primi mesi a Genova non sono semplici. L’adattamento ad un campionato tattico e certosino come la Serie A non è semplice per un ragazzo talentuoso, soprattutto in un sistema codificato come quello di Giampaolo. Lo stesso Schick ripercorrerà l’esperienza di quei mesi in un’intervista rilasciata un anno dopo:

Giampaolo mi chiese come mi chiamassi e mi resi conto che non sapeva chi fossi. A volte mi sono chiesto se sarei dovuto rimanere allo Sparta. Dopo le partite in cui non giocavo, stavo a casa arrabbiato, a malapena salutavo Hanca e mi chiudevo in camera, da dove chiamavo il mio agente Taborsky perché non sapevo cosa fare.

Lui e Hanca (la compagna, ndr) mi dicevano di non fare nulla e di essere paziente, così ci provai e ci fu una svolta. Ero a Torino dove giocammo contro la Juventus, alla fine di ottobre. Probabilmente voleva farci fuori, dandoci una chance per poi avere motivi per non farsi rompere le scatole dopo la sconfitta. Ma andò abbastanza bene e dopo un quarto d’ora segnai, fu una fortissima emozione. Per un po’ non ho creduto che fosse vero, nonostante non ci fosse nulla di strano. Provai entusiasmo per diverse settimane. 

Due giorni dopo in allenamento sbagliai un paio di volte e lui cominciò a urlarmi contro in modo isterico. C’erano anche i miei genitori a vedermi. Quando tornai a casa mi chiusi in camera e diedi calci alle sedie per un’ora. Chiamai di nuovo il mio agente e mi disse che la mia chance sarebbe arrivata. Nella partita successiva l’allenatore mi fece scaldare all’intervallo, ma al 18’ mi disse di sedermi perché sarebbe entrato qualcun altro.

Ma poi lui fu allontanato per proteste e il suo secondo mi chiamò: nella mia testa avevo già smesso di giocare, ma entrai e segnai al 90’.

La partita a cui Patrik fa riferimento è Sampdoria-Torino, in cui l’attaccante ceco, entrato al ’90, mette a segno il gol del 2-0 che chiude i giochi definitivamente, al primo pallone toccato, con un sinistro dentro l’area di rigore. Da quel momento, Schick non si ferma più.

https://www.youtube.com/watch?v=1LY8d2AkhzI

Patrik Schick è l’attrazione più interessante della Serie A in quei mesi, un concentrato di tecnica e fisico.

I paragoni si sprecano: ad oggi sembrano eresie mortali, ma la leggerezza dell’attuale attaccante della Roma, la naturalezza mostrata nei gesti tecnici lasciava sognare. Dribbling, passaggi illuminanti, scatti e tante reti. In un pomeriggio di fine gennaio, lui e Muriel ammazzano le speranze Scudetto della Roma (ma guarda un po’) facendo ammattire la difesa a 3 di Spalletti: Patrik ha a disposizione 21 minuti, ma gli bastano per segnare il gol del momentaneo 2-2 e guadagnarsi la punizione del 3-2 trasformata dal compagno di reparto colombiano. Schick brilla con le grandi: contro l’Inter a San Siro sfodera una prestazione nelle menti e nei cuori degli appassionati. Il gol contro il Crotone si può considerare senza timore di essere smentiti uno dei più belli nella storia della Serie A: Patrik si mette la maschera da Bergkamp ed emula l’Olandese non-volante, superando Cordaz con un sinistro che paradossalmente è la cosa meno bella in quell’azione.

Rivedere quelle immagini oggi porta un velo di tristezza su tutti gli appassionati. In un calcio drogato da 4-2-3-1, 4-3-3 e 3-4-3, la figura della seconda punta assomiglia a quella di un animale raro. Schick avrebbe voluto iscriversi con merito a questo registro, ma le contingenze delle ultime due stagioni l’hanno buttato in una preoccupante depressione. Anche per lui vale il discorso di Dolberg: è ancora giovane, ma ha bisogno di un’inversione di marcia fulminea.

KYLIAN MBAPPÈ: SEMPLICEMENTE DEVASTANTE

24 Luglio 2016, Sinsheim. Italia e Francia si contendono l’Europeo Under 19 in una finale a senso unico: la Nazionale di Meret e Locatelli, trascinata da Dimarco, si arrende per 4-0 contro una Francia che espone una superiorità imbarazzante. In quella selezione transalpina spiccano la punta Augustin, i centrocampisti Harit e Tousart ma soprattutto Kylian Mbappé. Nella stagione precedente il classe ’98, sottoetà in questo europeo, ha fatto il suo esordio in Ligue 1 col Monaco, diventando il più giovane marcatore della storia del Monaco, battendo il record di uno da poco: Thierry Henry. Nel poker di giornata Mbappè non lascia la propria firmata ma lascia intravedere qualità da fenomeno assoluto. La stagione dell’attaccante franco-camerunense inizia sorprendentemente male: una commozione cerebrale subita contro il Guingamp lo tiene fuori dai campi per un mese, e al ritorno dall’infortunio fatica a ritrovare feeling col campo. In Champions League trova 25 minuti in 3 partite, per poi non vedere ulteriormente il campo. Ma non importa: la società punta forte su di lui, in estate ha rifiutato offerte da 30 milioni presentate da Manchester City e Paris Saint-Germain.

Questa fiducia permette a Mbappè di riprendersi con calma ed esplodere all’inizio del 2017.

Da febbraio è Mbappè-show: segna la prima tripletta della sua carriera contro il Metz e offre un gran contributo per eliminare il primo Manchester City di Guardiola, segnando sia all’Etihad Stadium che al Louis II. Kylian abbandona definitivamente il ruolo di esterno sinistro, che aveva alternato a quello di attaccante fino a quel momento, per fare coppia con Radamèl Falcao. E che coppia: i due interrompono il dominio del PSG in campionato, vincendo una Ligue 1 combattuta fino alla fine, e riportano la squadra del Principato in semifinale di Champions League dopo 13 anni.

Anche il Borussia Dortmund cade sotto i colpi del sorprendente francese nei quarti di finale: con la doppietta al Westfalen Stadion e il gol che sblocca il match al ritorno, Mbappè diventa il primo giocatore della storia a segnare nelle sue prime quattro partite ad eliminazione diretta nella massima competizione europea. La sua velocità in progressione è incontenibile, anche quando il Monaco non va benissimo (vedi andata contro la Juventus) lui brilla comunque, facendo venire il mal di testa a difensori come Andrea Barzagli, non proprio l’ultimo arrivato. La capacità di incidere a questi livelli così giovane, la velocità in campo aperto e il doppio passo ubriacante ricordano un altro discreto attaccante emerso vent’anni prima circa.

Un attaccante a cui Mbappè ha provato a scippare un record importante: nonostante ciò Ronaldo rimarrà il più giovane giocatore di sempre a conquistare il Pallone d’Oro, considerato ormai sfumato per Kylian quello di quest’anno.

Poco male: l’ex Monaco, trasferitosi al PSG per 180 milioni di euro, si accontenterà di tre Ligue 1 (tutte quelle giocate da lui), diverse coppe nazionali ed un Mondiale stravinto da protagonista. A vent’anni e qualche mese Mbappé ha raggiunto molti più traguardi di quanti ne abbia raggiunti un giocatore qualsiasi a carriera già conclusa. La sua incidenza sulla storia del calcio è ancora oggi da determinare: KM non mostra limiti al momento, ed è intenzionato a vincere ed entusiasmare ancora per molti anni a venire.


Sebbene ognuno di loro sembrava promettere grandissime cose, solo uno è esploso sul serio. Degli altri, uno sta avendo una carriera discreta, mentre gli altri due stanno passando periodi decisamente negativi. Questi esempi ci offrono un insegnamento molto importante sull’analisi di ogni giocatore, ma valgono soprattutto per le punte. Un attaccante può imbeccare la classica stagione buona in cui gli riesce tutto e, con un po’ di fortuna, fa entrare anche palloni che normalmente non riuscirebbe a finalizzare. Un grande attaccante va visto all’opera sul lungo termine, quindi testato su 2 o 3 anni.

GianlucaG
Scritto da

Gianluca Losito