Quando la prima decade degli anni duemila è agli sgoccioli Catania si appresta a vivere il periodo calcisticamente più florido della sua storia. Da qualche anno Antonino Pulvirenti ha preso il timone della società, e dopo una prima annata in Serie B, nella stagione 2005-06 il Catania conquista la Serie A, categoria che manterrà fino al 2014.
Il suo braccio destro, Pietro Lo Monaco, costruisce anno dopo anno una squadra sempre più competitiva, fondando le sue fortune su uno scouting quasi ossessivo in Sudamerica. Il Catania di quegli anni è tutto ciò che oggi definiremmo un’isola felice, dove al fianco dei catanesi prolifera una colonia di argentini. Si, il termine colonia è particolarmente utilizzato in questo periodo, ad esempio per indicare i tre (adesso due) croati presenti nella rosa dell’Inter, ma il caso del Catania ha probabilmente pochi eguali nella storia. Alle pendici dell’Etna gli argentini che compongono la rosa a disposizione di Atzori per la stagione 2009/2010 sono 9 (10 con l’arrivo di Maxi Lopez a gennaio). Una comunità.
Forse contagiati positivamente dal clima familiare che anno dopo anno si va a sedimentare in gruppo, gran parte di questi giocatori offrono prestazioni che fuori da Catania mai più replicheranno. Christian Llama, ad esempio, lo ricordate? Nella sua prima esperienza siciliana (si, perchè nel 2018 è tornato a vestire la maglia rossoblu) segna 3 gol, di cui due di rara bellezza contro la malcapitata Sampdoria, prima in casa e poi a Marassi. Guardare per credere. Leggermente più avanti rispetto a Llama gravita un altro ex pupillo del Massimino, quell’Adrian Ricchiuti che prima di cedere al fascino de La Fiorita segnava a San Siro e dribblava qualsiasi cosa gli si parasse davanti. Per Ricchiuti però, la concorrenza è agguerrita, perchè nella sua stessa zona di campo agisce un altro sudamericano, dirimpettaio e storicamente acerrimo rivale degli argentini: Jorge Martinez, nato a Montevideo, Uruguay.
I discorsi fatti per Llama e Ricchiuti, ma che potremmo fare anche per i vari Barrientos e Andujar, nel caso di Martinez si moltiplicano per mille. Durante le tre stagioni in Sicilia l’uruguagio trae in inganno tutti, ma proprio tutti, anche quello che forse già al tempo era il miglior direttore sportivo sulla piazza.
ATZORI, A MAI PIU’
Però, ciò che quell’anno più di tutto trae in inganno è l’avvio di stagione del Catania. Atzori fa più danni della grandine e dopo 10 giornate gli etnei racimolano 7 miseri punti, frutto di 4 pareggi e una sola vittoria. Martinez è una delle poche notizie positive dell’autunno catanese. Timbra per la prima volta il cartellino nel pareggio casalingo con la Lazio, e si ripete qualche settimana dopo contro il Cagliari, marchiando a fuoco la prima vittoria stagionale.
L’urugagio è sbarcato a Catania nell’estate del 2007, pescato da Lo Monaco nel Nacional. L’impatto con la Serie A è da 8 reti, mentre nella successiva stagione lo score si riduce visibilmente. In entrambe le annate paga un contesto tecnico che vale la salvezza risicata, e a metà della terza l’impressione è che sia per lui che per il Catania il viaggio in Serie A sia giunto al termine.
La svolta caldeggiata da Atzori non arriva. Il pareggio strappato a Palermo nel sentitissimo derby grazie alla zampata di Martinez è una leggerissima nota lieve in una stagione che fino a quel momento è da incubo. Dopo un leggero miglioramento, la difesa torna a subire gol su gol: 9 nelle ultime 5 partite dell’ex difensore del Ravenna sulla panchina degli etnei. Il licenziamento giunge puntuale dopo la sconfitta nello scontro diretto all’Artemio Franchi di Siena. Il 3-2 finale è figlio di un Siena vs Martinez. Il Malaka – dal greco pazzo, genio, soprannome affibbiatogli dallo zio – con una doppietta cerca di tirar fuori dalle sabbie mobili della zona retrocessione gli etnei, ma il trio Calaiò-Terzi-Paolucci fa fallire la sua missione.
RIVOLUZIONE
Missione salvezza che, il 7 dicembre 2009, Antonino Pulvirenti affida a Sinisa Mihajlovic. Arrivato in città da poche ore il serbo stravolge subito il fallace progetto tecnico di Atzori. Di attacco a 2 non si parla più nemmeno nei bar, il modulo di riferimento varia da un 4-2-3-1 (marchio di fabbrica dell’ex calciatore dell’Inter) ad un 4-3-2-1, ideale per mezzepunte come Mascara, Ricchiuti e lo stesso Martinez. Quell’uno là davanti sarà occupato da Takayuki Morimoto fino a gennaio, quando dall’Argentina (e da dove se no?) arriverà la Gallina, Maxi Lopez.
Quando Maxi Lopez, o una punta in generale, sono ancora un desiderio inespresso di Mihajilovic, la nuova armata del serbo fa il suo esordio in un match delicatissimo contro il Livorno. I segnali di una rivoluzione che non tarderà ad arrivare ci sono, ma i tre punti no, anzi, il gol di Danilevicius a due minuti dalla fine manda nel panico l’ambiente.
Il 20 dicembre 2009 il Catania fa visita alla Juventus con 9 punti in classifica ed una situazione che definire disperata è poco. Al 23esimo minuto però, segnali di un pomeriggio che diventerà storico: Tiago strattona vistosamente Spolli in area di rigore e regala a Martinez la palla dell’1 a 0. Il Malaka è freddo dal dischetto e non sbaglia. A metà secondo tempo la Juventus batte un colpo e raddrizza il punteggio, ma nulla può sul contropiede letale condotto da Mariano Izco ad una manciata di minuti dal triplice fischio. La storica vittoria di Torino non sarà un caso isolato, ma l’inizio di una striscia di 6 partite che porterà il Catania a rivedere la luce.
Martinez, come tutta la squadra, è più a suo agio nell’abito tattico cucito da Mihajlovic e risponde con il gol che chiude la partita nel 3-0 casalingo contro il Parma. Gol che, oltre alla pesantezza, denota un’eleganza regale nel movimento per posizionarsi davanti al portiere.
All’estro dell’urugagio e di Mascara il Catania implementa il killer instict di Maxi Lopez, che si presenta decidendo il match dell’Olimpico contro la Lazio. La Gallina si ripeterà per tre domeniche di fila contro Genoa, Chievo e Inter, match attraverso il quale ci ricolleghiamo al protagonista di questa storia. Le due partite che ci gettano fumo negli occhi sul reale potenziale di Martinez sono due: quella contro i futuri campioni d’Europa e quella, un paio di settimane prima, sempre al Massimino contro la sorpresa Bari. Contro i nerazzurri fissa il punteggio sul 3-1 grazie ad un duello vinto sulla linea di fondo contro Lucio che lo porta a tu per tu con Julio Cesar. Contro i pugliesi invece, i colpi di classe o da Malaka si ripetono per tutto l’arco dei 90 minuti.
0:39 e 2:38. Prima con un colpo di tacco illuminane lancia Llama verso il gol del 2-0 e dopo, quando il Bari ha già alzato bandiera bianca da tempo, danza tra le maglie biancorosse e non lascia scampo a Gillet.
L’apoteosi etnea raggiungerà il culmine il 3 Aprile 2010, quando una doppietta di Maxi Lopez stende i rivali del Palermo e consegna virtualmente la salvezza nelle mani dei ragazzi di Mihajlovic. Nelle ultime giornate i siciliani riusciranno a fermare il Milan a San Siro e a strappare un altro punto alla Juventus, prima di raccogliere gli applausi del Massimino nel match finale contro il Genoa.
UN LAMPO
Quella sarà anche l’ultima volta di Martinez in maglia rossoblu, prima del trasferimento alla Juventus per 14 milioni di euro. Ecco, dell’esperienza torinese del Malaka ricordiamo solo questo: i soldi incassati da Pulvirenti e il milione e mezzo annuale che Agnelli ha versato sul conto dell’uruguagio fino al 2016.
Da quella magica serata contro l’Inter, Martinez riproporrà la sua celebre esultanza un altro paio di volte, finendo per dire addio al calcio a 36 anni. Il suo caso è singolare, in quanto risulta impossibile parlare di parabola ascendente o discendente: quella del Malaka è stata una fugace apparizione, così labile da non farci comprendere nemmeno che tipo di giocatore fosse. Esterno? Trequartista? L’unica cosa che possiamo affermare con certezza è che, come una lampadina mal funzionante, la stella di Martinez si è accesa sotto il sole di Catania e spenta nella foschia torinese.