Claudio Pasqualin è considerato il padre dei procuratori italiani, iniziando a esercitare la professione nei primi anni ’80. Nella sua carriera ha assistito alcuni dei più grandi calciatori della storia del nostro Paese, tra cui spiccano certamente i nomi di Del Piero, Vialli e quello di Gattuso. Con il suo operato ha donato prestigio e autorità alla figura del procuratore calcistico, ma sarebbe quasi riduttivo parlarne solo in questi termini.
Pasqualin è stato anche un grande avvocato, un dirigente, un volto televisivo, un ciclista con titoli mondiali a seguito, membro illustre di confraternite enogastronomiche. Una vita a inseguire le proprie passioni, che lo hanno portato anche sul palco più chiacchierato di questa settimana. Ha cantato infatti all’Ariston di Sanremo in occasione dell’evento Campioni e Canzoni, di cui ha vinto il premio eleganza. In questa esclusiva per i nostri microfoni, abbiamo voluto esplorare parte della vita di Claudio Pasqualin, la parte che più ha mosso le sue emozioni: quella calcistica.
CLAUDIO PASQUALIN – L’INGRESSO NEL CALCIO
Lei ha mosso i primi passi nel calcio subito con un ruolo di prestigio: segretario dell’Associazione Italiana Calciatori. Come riuscì a ottenere questo compito?
“Fu decisivo il fatto che conobbi anni prima Sergio Campana, presidente dell’AIC, che fu molto gentile nell’aprirmi il suo personale archivio, da cui acquisii materiale funzionale alla mia tesi di laurea. Quando poi lessi che stavano cercando un segretario, decisi di chiamarlo, annunciandogli il fatto che fossi divenuto dottore e che quindi avrebbe potuto tenermi in considerazione per l’incarico. Una sera del febbraio 1971 telefonai al Giornale Stadio di Bologna, dove l’AIC teneva le sue riunioni, e chiesi al centralinista se sapesse il nome del nuovo segretario. Fu così che mi sentii rispondere che era un certo Pasqualin. Io non avevo alcuna chance, ma un ruolo fondamentale penso lo abbia avuto Massimo Giacomini, che faceva parte del consiglio. Fu Campana stesso a suggerirmi di parlare con lui, in quanto, come me, era di Udine e giocava per l’Udinese, io nella De Martino e lui in prima squadra. Andai un primo pomeriggio nel suo negozio di stoffe in centro a Udine e gli spiegai il motivo della visita. Era molto interessato alla mia visione del calcio. Penso che abbia espresso un giudizio molto positivo, ma non fu l’ultima volta che Giacomini giocò a mio favore…“.
CLAUDIO PASQUALIN – L’OCCASIONE DI FIRMARE PER IL MILAN
Quando fu nuovamente importante nella sua carriera?
“Intorno al 1980 venni invitato dal presidente del Milan Colombo nella sua villa in Brianza, per discutere della possibilità di divenire il nuovo Amministratore Delegato del club. Arrivai a metà mattinata e riuscimmo a trovare l’accordo. Sul finire del nostro incontro arrivò anche Rivera, che fu felice di questo, nonostante in quel momento fosse lui l’AD, carica che ricopriva contestualmente a quella di vicepresidente”.
Quindi lei sarebbe dovuto diventare l’AD del Milan?
“Sì, ma poi Il Giornale pubblicò nella pagina d’apertura dello sport il mio nome legato a quello del Milan. Colombo mi telefonò perché aveva ricevuto delle minacce da parte degli ultras della Fossa dei Leoni, che temevano l’allontanamento dalla società di Rivera. Ma noi avremmo potuto benissimo convivere, come avevamo fatto nell’AIC, di cui li era tra i fondatori. Gianni a dir la verità non parlò mai, e se lo fece, solo tramite il suo avvocato Letta. Chi invece ho il presentimento che spese delle parole a mio favore fu proprio Giacomini, che in quel momento era l’allenatore del Milan. Quando ero in procinto di andare a Milano, lo chiamai, ma mi rispose la moglie, Donatella. Mi disse in maniera enigmatica che Giacomini aveva incontrato il presidente e che aveva sentito qualcosa. Secondo me anche in quel caso ci fu il suo zampino“.
Facciamo finta che sia l’attuale AD dei rossoneri. Confermerebbe Pioli?
“Io avrei proposto alla società il rinnovo del contratto con Pioli. A parer mio ha dovuto fare, specie quest’anno, le nozze con i fichi secchi. Ma anche il licenziamento di Maldini è stato qualcosa di deplorevole, ha fatto bene nel periodo da dirigente“.
La sua società è la rappresentate di Terracciano, arrivato al Milan nel mercato di gennaio. Che giocatore è l’ex Hellas Verona?
“Il Milan non ha preso un giocatore, ma ne ha presi due o tre diversi. È estremamente duttile, può fare molti ruoli diversi. Può giocare come esterno di destra, di sinistra o lavorare a centrocampo. Sono sempre stato convinto fosse capace di giocare a quel livello“.
CLUADIO PASQUALIN – I PRIMI ASSISTITI
Il primo assistito è stato Eligio Nicolini, trequartista del L.R. Vicenza, che la contatta per assisterlo nel suo rinnovo di contratto. La trattativa va benissimo, Nicolini le riconosce una generosa commissione che le fa capire che valesse la pena investigare di più su quel campo. Come si muove per iniziare a mettere sotto contratto i primi giocatori?
“Io questo lavoro l’ho deciso di fare un giorno quando, arrivato alla via che a Vicenza sta davanti al tribunale, svoltai per andare destra, in autostrada, direzione Ferrara per assistere all’allenamento della Nazionale di Serie B. L’avvocato lo facevo volentieri e con un certo successo, ma la passione era il calcio. E poi diciamo che l’assegno di Nicolini era stata una bella spinta a inseguire questo sogno. Comincio quindi a curare gli interessi di tutti i giocatori del Vicenza, con alcuni che mi cercano e con altri a cui chiamo in prima persona“.
Lei di fatto ha inventato questo mestiere, nato subito in un’ottica negativa. Abbiamo parlato per esempio con Lorenzo Amoruso degli attriti che incontrò con la dirigenza del Bari una volta che scelse di affidarsi alla sua tutela. Come fece a donare alla figura dell’agente una dignità e una rilevanza?
“Ho continuato a essere me stesso, forse il resto l’ha fatto il mio stile nel fare le cose. C’erano dei principi a cui decisi di non venir mai meno, a partire dal contatto con il calciatore. Con i minorenni non iniziavo a parlare se prima non lo avessi fatto con i genitori per esempio. Adesso, da quanto mi dice mio figlio Luca che come me fa questo mestiere, c’è subito una bagarre indicibile. Un tempo lo spartiacque era il Torneo di Viareggio, ma anche lì, tra i vari agenti c’era un forte rispetto l’uno con l’altro. Si è alzata la quantità ma certamente abbassata la qualità media dei procuratori nel tempo“.
CLAUDIO PASQUALIN – DEL PIERO E IL CONTRATTO DEL MILLENNIO
Questo principio d’operazione che lei si è posto, è stato lo stesso che le permise di mettere sotto contratto Del Piero, quando lo scoprì nel padovano. Anche grazie a lei, l’ex capitano della Juventus firmò nel 1999 il “contratto del millennio”, che lo ha reso il calciatore più pagato del mondo. Quando la firma ancora non era arrivata, le richieste che venivano da Madrid, Manchester e Barcellona, hanno mai solleticato le fantasie di Del Piero?
“Assolutamente no, Alex ha il cuore e tutti gli organi bianconeri. Noi tra l’altro agimmo con correttezza, perché non facemmo nascere alcun tipo di asta con tutti i club che erano interessati. Approfittammo solo dell’errore strategico della Juventus nel temporeggiare per il rinnovo, ma d”altra parte rischiammo perché la firma arrivò l’ultimo giorno prima di quello che avrebbe permesso ad Alex di firmare con chi voleva. Il mitico Maurizio Mosca il giorno dopo annunciò che a Sandrigo, nella nota Trattaria Due Spade, era avvenuta la firma del contratto. L’incontro sì che avvenne in quella trattoria, ma non la firma del contratto. Giovanni Pozzan, mio amico e titolare della trattoria, ha sempre risposto alla domanda su quanto avesse incassato per la soffiata a Mosca dicendo 100, a intendere 100 milioni, ma questa è stata ed è tutt’ora solo una voce, fomentata soprattutto a Sandrigo e dintorni“.
Ma secondo lei ci sono possibilità di vederlo in dirigenza? Le ha mai detto qualcosa a proposito?
“No non ne abbiamo mai parlato, anche perché è un ragazzo riservato, equilibrato, calibrato. Ha qualità e sostanza, non mi ha mai espresso neanche una sua delusione per non essere stato chiamato dalla dirigenza“.
CLAUDIO PASQUALIN – LA CAUSA ROMA-FALCAO
Lei ha anche rappresentato la Roma nella causa che ha sancito la separazione tra i giallorossi e Falcao. Come ha potuto un rapporto d’amore come quello tra il brasiliano e i giallorossi terminare in un’aula di tribunale?
“I maligni hanno una versione di questa situazione. Motivano il perché con la situazione creatosi subito dopo la finale persa con il Liverpool, terminata ai rigori. Secondo questa analisi dei fatti, il presidente Viola volle far pagare a Falcao il rifiuto di andare dal dischetto durante la serie. Io, da avvocato della Roma, devo dire che non ho mai sentito questa circostanza. Abbiamo fatto un discorso prettamente tecnico, rinvenendo nel fascicolo sanitario del calciatore delle deficienze che avrebbero giustificato la risoluzione del contratto. Mi pare chiaro però che se i rapporti tra Viola e Falcao fossero stati buoni, il presidente non avrebbe azionato questa circostanza. Eppure fu proprio lui a individuarla“.