L’Allianz Stadium è silenzioso, taciturno, resta sulle sue. Sugli spalti non ci sono le solite 40.000 persone che affollano i seggiolini e che tifano. Non c’è proprio nessuno, a dir la verità, se non qualche steward con il giubbotto fosforescente che illumina ancora di più la grigia solitudine.
Il calcio ai tempi del coronavirus è un calcio a metà, forse anche meno. Un calcio senza ali, che non può volare, che non può librarsi in cielo nel solito tripudio di colori, rumori, folle festanti e bandiere. È un calcio amputato, che sanguina e soffre. E anche una partita dall’elevatissimo valore, sia calcistico che morale che culturale, come Juventus-Inter, perde gran parte della sua essenza quando privata della cornice di pubblico circostante che forse tanto cornice non è, forse è proprio il quadro stesso. Ma tant’è. Queste sono state le misure di sicurezza – prima del nuovo decreto di ieri che ha fermato le Serie A – e ognuno vi si è adattato per il bene dell’altro.
C’è stato però un rumore che ha sovrastato il silenzio che proveniva dalle tribune. Non c’entra niente con le indicazioni tattiche strillate a bordo campo da Conte e da Sarri e nemmeno con le urla in campo dei giocatori che risultavano amplificate. C’entra con l’arte. Quel rumore sordo, secco che solo l’arte sa plasmare e regalare. Un rumore che forse si può sentire, o forse no, o forse si può sentire ma non con le orecchie. Si sente dentro, nelle viscere che hanno un sussulto e che si ribellano, che provano ad avvertirci che ci troviamo davanti a una bellezza quasi stordente, irripetibile.
PAULO DYBALA
Paulo Dybala. Tutte queste sensazioni sono state suscitate da Paulo Dybala, una delle menti – oltre che dei piedi – più eccelse del nostro campionato. L’argentino, pur inconsapevolmente, riveste i panni dell’artista contemporaneo, capace di creare bellezza in un mondo in cui la bellezza ha perso la sua ragione d’essere, è stata inghiottita da cumuli di indifferenza e normalità. Il gol di Dybala contro l’Inter è uno schiaffo a quella normalità. È una pennellata impressionista in un dipinto realista; è un baffo alla francese scarabocchiato sotto l’elegante naso della Gioconda. E ancora è un’onda anomala in un mare calmo, un girasole che spalanca le proprie braccia di notte, un raggio di sole che squarcia il reticolo nebuloso durante un temporale.
E tutto ciò è nato da un mancino. Da uno stop in contro tempo elaborato, preparato e realizzato in una forbice di tempo minima, quasi inesistente. Sembra che sia il pallone a scegliere docilmente di accoccolarsi sul piede mancino di Dybala, e non che il suo piede vada alla ricerca del pallone. Young non può fare nulla per fermarlo, ma come potrebbe? Come potrebbe interrompere un momento di arte così pura per vincere un duello?

Fonte immagine: profilo Instagram Dybala
Poi alza la testa e porta palla. Accarezza il pallone ancora 5 volte dopo averlo stoppato e lo regala a Ramsey, suo complice di quel momento magico. Il gallese non può far altro che ridarla a Dybala, perché la sua aura è così luminosa che nessun’altra possibilità può essere contemplata. Allora ancora un tocco per riprendere il ballo con il pallone, un altro per prepararsi al compimento dell’opera, il terzo per dimostrare che l’arte non conosce confini – né tecnici né mentali – e il quarto per dare un’anima alla sua creazione. È il bacio di Amore e Psiche che finalmente si compie; è il David di Bernini che scaglia il sasso contro Golia; Apollo che cattura Dafne e si trasforma con lei.
Sono stati 9 secondi, 10 tocchi del pallone, tutti rigorosamente con il mancino.
Ma si sono trasformati in una scultura di marmo in movimento.
In costante evoluzione, in una metamorfosi pietrificante.
Un gol di marmo che emana bellezza nel periodo più grigio della storia recente. Tutto in contro tempo, perché lo scorrere del tempo è troppo lineare e banalizza la bellezza dell’arte.
Dybala ha fatto l’artista e ci ha arricchiti.
Dybala ha fatto una delle più belle opere d’arte contemporanee.
Dybala s’è fatto arte.
Fonte immagine di copertina: profilo Instagram Juventus