ESCLUSIVA – Andreazzoli: “Gavetta fondamentale. Asllani ragazzo d’oro, Di Lorenzo top player mondiale”

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Aurelio Andreazzoli è una di quelle figure che fanno bene al calcio. Un allenatore che si è formato nei campi di provincia, che ha fatto la gavetta prima di poter calcare i campi più prestigiosi del panorama calcistico italiano. Abbiamo avuto la fortuna di poterlo intervistare in esclusiva, trattando varie tematiche di calcio e non solo. La sua saggezza professionale e umana ti cattura fin da subito e ti porta a volerlo ascoltare per ora, perché come ci ha detto lui “essere è più importante di apparire“.

 

Signor Andreazzoli, lei è partito ad allenare tanti anni fa nei dilettanti. Seconda e prima categoria, Promozione, Eccellenza, fino ad arrivare alla Serie A: quanto è importante in questo mestiere fare la gavetta?

Io penso che sia importante in qualsiasi attività, in qualsiasi tipo di mestiere. Il primo giorno che inizi non hai le competenze che acquisisci col tempo, non riesci a risolvere questioni che poi risolvi con la conoscenza e l’esperienza che man mano si fa. É anche vero che, per usare una metafora, è preferibile iniziare a scrivere qualche articolo alla Gazzetta piuttosto che al giornale scolastico: cominci da un livello più alto e hai la possibilità di esprimere le tue conoscenze ad un livello più alto. Però se non hai qualità è anche più facile bruciarti, non hai il tempo di poter tornare indietro.

Dopo tanti anni nelle serie minori, c’è il periodo con Luciano Spalletti prima all’Udinese e poi alla Roma. Cosa ha potuto apprendere stando per così tanto tempo al fianco di un grande allenatore?

Avere un confronto con le sue idee, con il suo modo di fare, con il modo in cui si relaziona con i giocatori e con la stampa. Sia con Luciano che con Garcia e Luis Enrique ho apprezzato il confronto costante, poter far valere le mie idee e mostrare il mio modo di essere. Ti porta poi ad agire e comportarti non come qualcun altro, ma come sei te: semplicemente arricchendo le tue conoscenze inconsapevolmente e poter poi mostrare come sei quando vieni poi giudicato in altri ambienti. Sai, un conto è voler essere in un certo modo e un altro è apparire in un certo modo: il tempo ti frega, se non sei sincero e coerente dall’altra parte c’è un pubblico esigente che ti dà la giusta misura. Alla fine chi ti vede si rende conto se stai mentendo o cerchi di ingannare: io ho sempre fatto le stesse cose dai Dilettanti alla Serie A. Sia tecnicamente sia a livello umano con i calciatori, se devo dire una cosa la dico subito, anche se le problematiche diverse. Vi racconto un aneddoto: avevo un giocatore che faceva il fornaio e una volta si è addormentato mentre spiegavo – non ho mai pensato di criticarlo davanti a tutti, anzi. Cambiano le problematiche nelle varie categorie, ma il mio modo di agire no.

Secondo lei quanto è importante avere un gruppo solido nello spogliatoio? Riesce a colmare tutte le lacune della squadra o può essere un’arma per aiutare a rendere al massimo per raggiungere l’obiettivo prefissato?

Serve avere la qualità ed esprimere tanto, che non è assoluto. Esprimere tanto per il Milan vuol dire lottare per Champions o Scudetto, per l’Empoli o per il Lecce vuol dire salvarsi. L’incidenza delle qualità dei calciatori è decisiva: tu puoi creare un gruppo ben allenato e consapevole di qual è l’obiettivo, ma poi dopo ci sono le categorie e i limiti dei calciatori che non ti permettono di arrivare al massimo delle tue potenzialità tecniche. Però è chiaro che per raggiungere il massimo devi avere un supporto: quella è competenza dell’allenatore. Dare tutto per la professione, allenarsi bene, ma particolarmente per la creazione di un sentimento comune che è il gruppo, come si è visto nella pallavolo, nel basket, ecc… Dipende da quello, perché se tu non vai d’accordo con l’allenatore o non ci sei con la testa è difficile in un contesto di 25 unità. Quando viene meno una componente diventa un problema, ma si può colmare questa cosa col fatto che per gran parte della giornata tutti stiano bene insieme – così dopo diventa facile condividere – e l’allenatore ha un compito importante, anche se non è sempre facile creare il sentimento comune. Poi, ovviamente, se su 25 ne utilizzi 13 non creerai mai una squadra coesa: ad Empoli, per esempio, ne cambiavamo 5/6 a partita perché nessuno vale più di qualcun altro, conta la squadra.

Proprio l’Empoli: tre anni complessivi, prima la B e poi la A, quella notte di San Siro. Cosa rappresenta per lei Empoli e l’Empoli?

Empoli è una città simile a Massa, dove abito io. Ambiente tranquillo, quando vai in centro conosci tutti: una città particolare. Una società particolare, con un presidente che è stato il numero uno in Italia in quel ruolo perché tenere 25 anni l’Empoli ad alti livelli, con un settore giovanile che è un fiore all’occhiello, non è da tutti. Ho trovato, quindi, un luogo affine alla mia personalità e dove potersi esprimere al meglio. Mi piaceva così, mi piaceva stare dalle 8.30 all’ora di cena al campo a lavorare ed era un’ottima realtà, magari può essere stretta per altri. L’ho vissuta benissimo, ci siamo divertiti da morire in tutte le occasioni: era un divertimento vedere la squadra e io mi sono sempre divertito, che è l’obiettivo principale. Mettere insieme tutte le proprie conoscenze e farle vedere al mondo, cioè far vedere ciò che si può fare anche con pochi mezzi. Un percorso estremamente soddisfacente, quest’anno ci siamo separati: libera decisione della proprietà continuare con un’altra persona, non c’è rancore o altro.

Tantissimi giovani sono passati sotto la sua gestione nei tre anni di Empoli: da Di Lorenzo e Krunic ad Asllani e Ricci. Le chiedo un breve commento su di loro sia come giocatori sia come persone e che prospettive possono ancora avere.

Prima in B e poi in A ci siamo tolti tante soddisfazioni con giocatori che la Serie A non l’avevano mai vista. Molti di questi hanno avuto e stanno avendo una crescita impressionante: Traorè, Bennacer, Krunic, lo stesso Di Lorenzo che è diventato un top player a livello mondiale. Vorrei dire Europeo, ma lo ha vinto quindi è mondiale, poi capitano del Napoli: una grande soddisfazione. Io credo che, comunque, per chi fa questo mestiere la soddisfazione è rappresentata anche da quei calciatori che si sono stabilizzati nella categoria e non solo quelli che partono verso i top club. Asllani? Un ragazzo che ti piace appena lo vedi. Modesto, taciturno, dedicato solo ed esclusivamente al calcio, un grande professionista: gli dici una cosa oggi e domani l’ha già imparata e la fa. Ha i crismi del grande giocatore, è dotato perché ha due piedi importanti: merito della natura, ma poi c’è il voler dedicarsi e migliorarsi che dipende da lui. In tanti anni di carriera non ho mai visto un giocatore di alto livello tecnico, ma non predisposto a livello mentale, arrivare ad alti livelli. Parisi ti prende l’occhio subito, ha fatto molto bene con noi subito nonostante problemi sia fisici che personali – può lavorare su qualche sbavatura, ma lui ha anche le doti morali per migliorarsi. Ricci lo abbiamo perso nel momento migliore, ma fa parte delle dinamiche di sopravvivenza di una società come l’Empoli. Un ragazzo d’oro, tranquillo e poi se il Torino decide di spendere una cifra simile per acquistarlo un motivo c’è.

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Lorenzo Alutto