Ai microfoni della Lega Serie A, il calciatore viola Robin Gosens ha rilasciato dichiarazioni riguardo il suo passato e la sua attuale esperienza a Firenze. Nell'intervista il tedesco si è soffermato anche su un tema ancora troppo poco discusso nel mondo del calcio: la salute mentale
SUL SOGNO DIVENTARE CALCIATORE- "Se non fossi diventato calciatore probabilmente sarei diventato poliziotto come mio nonno. Ho sempre desiderato farlo. Penso che un calciatore possa essere un buon calciatore solo investendo il proprio tempo, proprio come il vino: ci vuole pazienza. Il calcio per me è passione, e alla fine ciò che mi dà più piacere nella vita insieme alla mia famiglia. Da bambino nel provino con il Borussia Dortmund ho fallito e ho pensato che fosse l'occasione più grande della mia vita ma non ero ancora pronto. Ho fatto i miei primi passi tra Germania e Olanda e ho firmato il primo contratto da professionista con il Vitesse. Ho avuto due colpi di fortuna nella mia carriera: essere diventato un professionista ed essermi goduto la mia gioventù. Ho potuto dire 'non vado lì' e così commettere i miei errori. Sono sempre potuto stare con la mia famiglia".
SUL TRASFERIMENTO ALL'ATALANTA- "Quando ero nei Paesi Bassi, un giorno ho ricevuto una chiamata piuttosto strana da Gasperini e da Sartori: 'Robin, ti voglio assolutamente qui, sarebbe bellissimo'. Ma parlava italiano e io no. Avevo un direttore sportivo al telefono e non capivo cosa volesse quindi all'inizio ho chiuso la chiamata e respinto la possibilità di venire in Italia senza volerlo. Il mio inizio era caratterizzato da alti e bassi anche per l'ostacolo della lingua. Cercavo di fare quello che mi chiedevano ma non capivo esattamente cosa. Poi sono diventato titolare e ho imparato la lingua che alla fine mi ha permesso di essere qui".
SU FIRENZE - "Credo che cultura sia la parola giusta per Firenze, è come un museo a cielo aperto. Qui è come un museo a cielo aperto, sembra che ogni luogo ricordi quanto sia straordinaria l'Italia. Ciò che apprezzo molto della mia vita e di questa città è la possibilità di conoscere questa cultura, queste persone, questo modo di vivere. Vedo un'analogia con il calcio e con questi guerrieri perché mi sento così, parte di una squadra. Firenze è sicuramente una delle capitali della cultura e dell'architettura, ma anche la cucina è fantastica. Qui è tutto buono, dal pane senza sale alla bistecca passando per il Chianti".
SULLA PSICOLOGIA NEL CALCIO - “Non sempre è tutto in discesa. Si affrontano alti e bassi che vanno saputi gestire e affrontati. Per questo quando smetterò voglio diventare psicologo: per aiutare le persone che hanno problemi simili ai miei. Molti soffrono la pressione, attacchi di panico e altro. Ne ho conosciuti tanti con questi problemi. Credo la forza sia quella di affrontarli e parlarne. L'anno scorso a Berlino ho vissuto una crisi mentale, anche la mia famiglia non si sentiva a casa, non solo sportivamente parlando. L'appello che faccio è che siamo esseri umani, non solo giocatori che devono funzionare alla perfezione. Questo va compreso”.