I moduli vol.3: la storia tradizionale (e non) del 4-4-2

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Se nel primo volume dei moduli si era parlato di innovazione, nel secondo di rivoluzione, nel terzo il concetto fondante è tradizione. Questo termine deriva dal latino, traditio-onis, ovvero consegna, trasmissione. Jean Jaurès, politico francese pacifista del ‘900, a proposito di questo termine, disse:

“La tradizione non consiste nel conservare le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma”.

Tra i moduli, quello più tradizionale, consuetudinario, più usato (prevalentemente in passato) è il 4-4-2, schema di gioco che dal dopoguerra alla fine del secolo passato ha cannibalizzato tutti gli altri.

STRUTTURA

Il 4-4-2 è suddiviso in due linee da quattro simmetriche, che supportano il duo offensivo. I due centrali difensivi possono essere sia simili che uno l’alter ego dell’altro. Almeno uno dei due comunque deve avere buone capacità in impostazione. I due terzini devono essere bravi più a difendere che ad attaccare e devono avere un’ottima resistenza fisica. La coppia di mediani deve completarsi a vicenda, dividendosi i compiti di costruzione del gioco e interdizione. Gli esterni alti sono chiamati ad uno sforzo fisico importante e devono costituire con i terzini di competenza un vero e proprio file rouge. Le due punte solitamente sono agli antipodi, una vecchio stampo, bomber d’area, l’altra di fantasia e rifinitura, una seconda punta.

1. LOBANOVS’KJY, URSS 1988

Di questa speciale classifica forse il meno tradizionale. Mise in atto una rivoluzione scientifica nella Dinamo Kiev, cambiando allenamenti, nutrizione dei giocatori e modo di pensare. Portò in parte le sue idee e convinzioni anche nell’URSS, raggiungendo la finale di un Europeo, sconfitto da un altro rivoluzionario, Michels. Nonostante per lui i ruoli fossero relativi, i terzini Rats e Demyanenko dovevano sovrapporsi continuamente in appoggio agli esterni. Il centrocampo era un misto di giocatori di quantità come Mykhaylychenko e Lytovchenko e di qualità come Zavarov, paragonato dal colonnello a Maradona. Per esaltare il gioco contropiedista le due punte erano Protasov e Bjelanov, due istituzioni nell’Est Europa. Erano attaccanti molto veloci, agili e rapidi, soprattutto il secondo, mentre il primo abbinava anche una buona forza e potenza fisica.

Moduli

Fonte immagine: tuttocalcio360.altervista.org

 

2. SACCHI, MILAN 1988-89

Anche qui la tradizione si annida con la rivoluzione, binomio perfetto che porterà i rossoneri a successi straordinari, tra cui due Coppe Campioni consecutive. Il Milan in difesa poteva vantare giocatori come Baresi, Costacurta e Maldini, tre maestri della trappola del fuorigioco, tratto distintivo dell’allenatore di Fusignano. Sacchi cambiò anche gli allenamenti, rendendoli più duri e faticosi, come ricorda proprio Maldini:

“Mi ricordo ancora adesso gli incubi. Lui a distanza di 30 anni, mi ha mandato un messaggio scusandosi per quegli allenamenti. Mi ha portato ad essere un perfezionista”.

I due esterni alti, Colombo e Donadoni, dovevano essere presenti sia in fase difensiva che offensiva, con diversi compiti in ripiegamento. Gli esterni bassi e quelli avanzati si alternavano costantemente in sovrapposizioni continue. La cerniera di centrocampo era affare di Ancelotti e Rijkaard, entrambi con caratteristiche sia di interdizione sia di conduzione del gioco. In avanti la forza e la fantasia di Gullit innescavano il cigno di Utrecht, Van Basten, uno dei primi attaccanti completi per l’epoca.

3. CARLOS ALBERTO PARREIRA, BRASILE 1994

Mondiale USA ’94, ironia della sorte i verdeoro si scontrano in finale con l’Italia di Sacchi. La Seleção vinse quel torneo ai rigori, dopo una partita stremante, visto il caldo asfissiante al Rose Bowl di Pasadena. La difesa brasiliana, molto compatta ed ermetica, era dominata da Aldair, fattore sia in fase di progressione sia in marcatura e contrasto. I terzini, Cafù e Branco, erano molto veloci ed erano ottimi passatori e crossatori. La regia della squadra era affidata a Dunga, leader carismatico di quella squadra, mentre sulle fasce di centrocampo correvano Zinho e Mazinho, due tuttocampisti. Il tandem d’attacco era composto da Bebeto e Romario, due punte veloci, agili e brevilinee, che fecero le fortune del Brasile anni ’80 e ’90 a suon di gol.

Moduli

Fonte immagine: lanotiziasportiva.com

4. FERGUSON, MANCHESTER UNITED 1998-99

I Red Devils quell’anno vinsero una delle finali di Champions più spettacolari che la storia del calcio abbia mai visto. Dagli inferi al paradiso in due minuti che coincise con il primo successo continentale di Sir Alex con il Manchester. Una delle squadre più forti di sempre, solo in difesa poteva contare su l’abilità felina e con i piedi di Schmeichel, sulla forza bruta di Stam e sulla spinta di Irwin e G.Neville. A centrocampo Scholes e R.Keane si completavano perfettamente a vicenda, l’uno con compiti di rottura, l’altro di rifinitura e e impostazione. Gli esterni di centrocampo Giggs e Beckham erano praticamente interscambiabili, oltre che esperti nell’arte dei cross e del contropiede veloce. Le due punte formarono una delle coppie offensive meglio assortite, Yorke  e Cole, i Calypso Boys. Per esemplificare il loro feeling e il loro impatto sulle vittorie, oltre che i numeri (oltre 130 gol), bastano queste dichiarazioni del terzo marcatore di sempre della Premier, Cole:

“Giocare con lui sin dall’inizio fu come quando ti innamori di una bella donna. Se lui eseguiva un movimento io facevo l’opposto. Non avevamo mai dibattiti, eravamo in simbiosi su tutto”.

Ferguson poteva contare, inoltre, sull’incisività di subentranti come Solskjaer e Sheringham, autori dei due gol della finale.

5. TABAREZ, URUGUAY 2011

Copa America del 2011 in Argentina. La Celeste vince un trofeo dopo più di 15 anni di astinenza, grazie ad un percorso netto ideato e messo in atto dal Maestro Oscar Tabarez. La squadra rispecchia perfettamente il popolo uruguagio, grintoso e mai arrendevole al destino. I giocatori messi in campo hanno spiccate qualità difensive, di temperamento, leadership e aggressività. Godin, Lugano, M.Pereira e Caceres in difesa rispecchiano esemplificativamente queste caratteristiche. A centrocampo la storia non cambia con Arevalo Rios, Perez, A.Pereira e Gonzalez, calciatori dotati di grande spirito di sacrificio e abilità nell’aiutare la squadra in fase di non possesso. Tutto il lavoro delle due linee da 4 era destinato ai due top player: Forlan e Suarez, il primo classe e tecnica, il secondo freddezza e cinismo.

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Fonte immagine: goal.com

 

Scegliendo soltanto cinque squadre (e rispettivi moduli) molte altre sono rimaste fuori, come il Leicester di Ranieri, L’Atletico del Cholo Simeone o altre squadre simbolo del catenaccio anni’60. I 5 club scelti, però, oltre a titoli e trofei, hanno lasciato qualcosa in più in termini innovazione o ammodernamento, partendo sempre dalla base inscindibile della tradizione.

(Fonte immagine: it.wikipedia.org)

 

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Scritto da

Mattia Cinelli