Viceinte Aleixandre, uno dei poeti più importanti della letteratura spagnola, la definì “Ciudad del paraìso”. Màlaga, la traposizione terrena della dimensione astrale a cui tutti, prima o poi, ambiamo. Bellezza, cultura e tradizione, terra di popoli che si incontrano, lasciando tracce indelebili, scolpite nelle sue strade e nei suoi monumenti. Il Teatro Romano, l’Alcazaba e il Castello di Gibralfaro, eredità della dominazione araba. La città del mare e del sole, perennemente presente e riluttante all’idea di lasciare spazio alle nuvole. Poi, la Cattedrale, imponente, affascinante, superba, incompleta.
La Manquita, “monchetta”, non è mai stata terminata. La torre campanaria meridionale, semplicemente, non c’è. Le sua sorella gemella svetta sul centro storico della città, dominandolo dall’alto. Lei, invece, non è riuscita a raggiungere la maggiore età, rimanendo eternamente bambina. Un gioiello a metà, incompiuto. Forse, per questa ragione, ancora più suggestivo. Esattamente come il Màlaga Club de Fùtbol della stagione 2012-2013, quello della cavalcata fino ai quarti della Champions League. Una stagione memorabile, stroncata sul più bello. Una storia che avrebbe potuto avere un finale diverso.
LA STORIA
Il calcio in Andalusia è una questione di primaria importanza: Siviglia, Real Betis, Cordoba e, appunto Màlaga. La vita calcistica di Màlaga nasce nel 1904, quando sorge il Màlaga Foot-Ball Club. La passione è tanta, la fede è una sola. Il sangue è esclusivamente blanquiazul. Si tifa per i boquerones, non esiste alternativa. L’amore per la squadra si respira in ogni angolo, via e piazza. A Màlaga tutto richiama il Màlaga. Eppure l’affetto non è mai stato ricambiato con vittorie e trofei. Il palmarès della squadra andalusa è scarno, consta solo di una Coppa Intertoto, vinta nel 2002-2003. Il resto è un continuo saliscendi tra la prima e la seconda divisione, qualche piazzamento importante in Liga e poco altro.

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La fama del club di Al Thani, lo sceicco che ha acquisito la squadra nel 2010, si deve principalmente al biennio 2011-2013. La “Rosaleda” e la città andalusa si trovarono catapultate all’interno di un sogno magico. Un gruppo di campioni, allenati da Manuel Pellegrini, raggiunse traguardi che mai avrebbe immaginato di poter toccare. La qualificazione alla Champions League al termine della stagione 2011-2012, e la conseguente cavalcata nella competizione per club più prestigiosa d’Europa.
Van Nistelrooy, Demichelis, Joaquín, Toulalan, Rondòn e, soprattutto, Isco, agli albori della sua sfolgorante carriera. Il talento di Benalmadena, cittadina della Costa del Sol situata a pochi chilometri da Màlaga, prese per mano i propri compagni e condusse un popolo intero ai limiti dell’irrealizzabile. Il quarto posto finale di un inaspettato ed imprevedibile 2011-2012, che vale l’accesso ai preliminari della coppa dalle grandi orecchie.
IL PROLOGO
La stagione dell’apoteosi si apre con gli acquisti di Diego Lugano, Javier Saviola e Roque Santa Cruz. Talento ed esperienza al servizio di mister Pellegrini. Il sipario sul cammino dei boquerones, soprannome che deriva dal pesca tipico della città, il boqueròn, si alza svelando il primo ostacolo. I playoff di Champions League contrappongono al Màlaga il Panatinaikos. Alla Rosaleda finisce 2-0, al ritorno è sufficiente un pareggio a reti inviolate. Il volere del sorteggio dei gironi è perentorio. Il Màlaga deve affrontare il Milan, una nobile in fase decadente, lo Zenit San Pietroburgo e l’Anderlecht. La vittima sacrificale dovrebbe essere la squadra dell’allenatore cileno, ma a dicembre la classifica parlerà diversamente.

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Il Màlaga parte forte e vince le prime tre sfide, al debutto assoluto. Dopo avere regolato con due 3-0 lo Zenit, in Spagna, e l’Anderlecht, a Bruxelles, i blanquiazules vincono una delle partite più prestigiose della loro storia. Il 24 ottobre 2012, davanti a 28 mila malagueñi, una rete di Joaquìn stende il Milan. Le avvisaglie sono chiare, il Màlaga è forte, ha estro e non ha nulla da perdere. Le ultime tre sfide sono tre pareggi, necessari per approdare agli ottavi di finale come primi classificati.
IL SOGNO
Ancora una volta l’urna del sorteggio. Ancora una volta ostica. Il Porto, che nel girone è arrivato alle spalle del PSG, è l’avversario da eliminare. La squadra allenata da Vitor Pereira è una fucina di talenti pronti a conquistare il continente europeo. Alex Sandro, Nicolas Otamendi e James Rodriguez, oltre all’esperienza di Joao Moutinho e all’istinto da rete di Jackson Martinez. Al do Dragão la partita è combattuta, fino al 56′, quando Moutinho, sul filo del fuorigioco, batte Caballero con un piattone da distanza ravvicinata. 1-0 e discorso qualificazione rimandato alla Rosaleda.
I giorni che precedono il match sono febbrili. Non è mai stato disputato un incontro di uno spessore anche solo paragonabile. La città è in delirio, è consapevole che serve un’impresa, pronta a materializzarsi. Isco, allo scadere del primo tempo, si inventa un gol fantastico, calciando dal vertice destro dell’area di rigore. La parabola è perfetta, si insacca sotto l’incrocio. Un’altra rete significherebbe superare il turno. Al 77′, quando lo spettro dei tempi supplementari aleggia sul prato verde della Rosaleda, Roque Santa Cruz svetta e colpisce di testa sugli sviluppi di un corner. Helton non può farci nulla. Màlaga intera implode, la felicità non può essere quantificata. Al debutto in Champions League vola ai quarti di finale, dove affronterà il Borussia Dortmund, l’altra rivelazione di un’edizione indimenticabile.
IL RISVEGLIO

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La prima sfida si gioca in Andalusia. La paura è palpabile, le due squadre temono di scoprirsi. Il risultato finale è uno 0-0 che lascia tutto aperto, facendo prospettare un ritorno infiammato. Al Westfalenstadion si gioca una partita memorabile, una delle più incredibili e appassionanti dell’ultimo ventennio della competizione. 90′ che sono entrati nella storia di questo sport per gli episodi che l’hanno contraddistinta e la girandola infinita di emozioni. Gli ospiti partono forte: al 25′ Joaquìn trova la rete del vantaggio blanquiazul, con un mancino chirurgico dai 16 metri. Al 40′ il Dortmund pareggia con un’azione magistrale: Götze lancia in profondità Reus che, di prima intenzione, serve di tacco Lewandowski. L’attaccante polacco salta Caballero e infila l’1-1.
La partita scorre via sul filo dell’equilibrio, ed il Màlaga è a un passo da una storica semifinale. All’82’ la rete di Eliseu la trasforma in realtà, 1-2 e ribaltare il risultato è ai limiti dell’impensabile, eppure… accade. Il recupero potrebbe essere la passerella per i ragazzi di Pellegrini e per i tanti tifosi giunti dalla Costa del Sol, ma non sarà così. Al 91′, Reus, in mischia, trova la rete del pareggio. Tardi, tardissimo. Manca troppo poco per segnare ancora.

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Il destino, a volte, è beffardo. Accarezza qualcuno mentre schiaffeggia qualcun altro. Due minuti più tardi, a tempo scaduto, il Borussia Dortmund segna. La dinamica dell’azione è di difficile interpretazione: Una palla viene lanciata verso l’area di rigore, la confusione è tanta. Großkreutz e Felipe Santana si ritrovano la sfera tra i piedi, a un metro dalla porta. Il primo svirgola, il secondo no. 3-2, lo stadio è incredulo, le scene di estasi sono maestose. Il Màlaga protesta, la rete è da annullare, il fuorigioco è evidente. L’arbitro e gli assistenti non se ne avvedono e fischiano la fine. Il Borussia Dortmund vola in semifinale.
Una meravigliosa favola da raccontare ai nipoti che si trasforma in dramma sportivo. La serata più bella della vita di tante persone che, nel giro di 120”, assume le sembianze del più oscuro degli incubi, una pagina nera da cancellare. Un battito di ciglia e il brusco risveglio da un sogno quasi perfetto. Il Màlaga esce con le ossa rotte, non salirà più su quel palcoscenico. Le stagioni seguenti saranno mediocri, culminate con la retrocessione al termine del 2017-2018.
Cosa sarebbe stato quel Màlaga talentuoso, spensierato e determinato, senza la rete di Felipe Santana? Impossibile saperlo. Il fascino di quella squadra, però, resta immutato. Incompleta e incompiuta, ma estremamente avvincente, proprio come la Manquita.
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