Sono le ore 15.00 di giovedì 3 ottobre 2019. La conferenza stampa che renderà ufficiale l’addio al calcio giocato di Claudio Marchisio sta per cominciare. Niente più scarpette, niente più preparazioni estive e niente più corse in quel lembo di campo che divide attacco e difesa e all’interno del quale molto spesso si vincono partite, campionati e trofei.
Nello stesso istante dal profilo Facebook dello stesso Claudio viene condiviso un video. Un Marchisio giovane, pimpante, ingenuo e sbarbato racconta cosa significhi per lui vestire la maglia della Juventus. È il 2006. È l’anno della Serie B. Un anno difficile per i tifosi bianconeri e altrettanto complicato per tutto il calcio italiano. Per Marchisio è la prima stagione in prima squadra e di professionismo. Per lui viverlo a Torino, vestendo la maglia che ama, è un sogno.
IL SOGNO
“Ho realizzato un sogno nella mia vita. Negli ultimi mesi la mia testa c’era ma il mio corpo non girava più come prima. Ho cominciato a riflettere. Non è importante l’età che uno ha, potevo avere 40 anni, ma quello che uno si sente. Se non puoi dare il massimo giusto lasciare”
Il sogno è il tema ricorrente della carriera dell’ex centrocampista bianconero. Nonostante gli infortuni, il calante quanto doloroso e ingiusto declino della carriera di Claudio, Marchisio chiude la scena uscendo a testa alta e conscio di aver realizzato tutto quello che in quel breve video del 2006 pareva essere utopia.
“Il rimpianto? Quello di non vincere la Champions con la Juve e l’Europeo con la Nazionale. Sono i miei due rimpianti più grandi. Il momento in cui mi sono reso conto che il sogno si stava realizzando è stato l’anno della Serie B. Vedevo le facce dei campioni che avevano scelto di restare in B. Per me non era indossare la maglia della Juve in Serie B, era indossare la maglia della Juve e basta”
La carriera di Marchisio è condita, naturalmente, anche da rimpianti. Momenti che avrebbero potuto elevarsi a qualcosa di più importante, ma che non si sono realizzati. Da una parte una Champions League mai conquistata pienamente, seppur nel 2015 giocò da protagonista in Europa esprimendosi al meglio in uno dei centrocampi più completi degli ultimi anni: Pirlo, Marchisio, Pogba e Vidal. Opposto a quel centrocampo vi era però una squadra stellare, in tutti i reparti: il Barcellona della MSN, di Xavi che dà l’addio e di Iniesta. Proprio “l’Illusionista”, nella giornata di ieri, ha marcato chiaro e tondo che il mondo del calcio senza Claudio Marchisio non è più lo stesso. Un complimento, un gesto di vicinanza e stima che, forse, vale quanto una Champions League. Dall’altra parte il percorso con la Nazionale non si è mai realizzato pienamente: dalla finale persa in Ucraina nel 2012, fino all’esperienza brasiliana del 2014 cominciata con il gol all’Inghilterra, ma conclusasi con l’espulsione contro l’Uruguay.
L’UMANIZZAZIONE DEL CALCIATORE
“I giocatori hanno la responsabilità non soltanto come sportivi ma anche per quello che succede fuori dal campo. Col tempo ho visto che c’era bisogno di far sentire la mia voce fuori dal campo. Non ho mai avuto problemi a prendere la parte dei più deboli, senza avere paura delle critiche, quelle ci sono sempre”
Claudio Marchisio ha umanizzato l’immagine del calciatore professionista, la quale spesso è rimasta rinchiusa in un alone di ignoranza e superficialità. Gli elementi caratteristici che definiscono il prototipo del calciatore professionista. L’utilizzo dei social network di Marchisio, la sua vita fuori dal campo e il coraggio di esporsi quotidianamente sui problemi che affliggono e colpiscono il mondo, hanno reso l’ex centrocampista bianconero un esempio di responsabilità. La scomparsa di Silvia Romano, l’enorme problematica dell’inquinamento, dello spreco delle energie non rinnovabili e del futuro del nostro mondo, fino ad arrivare alle tragedie del Mediterraneo e delle migrazioni oltre oceano. Temi trattati con sensibilità, rispetto e cognizione di causa. Gli stessi temi che spesso vengono sottovalutati, dimenticati o ignorati.
Claudio Marchisio ha quindi deciso di chiudere qua il proprio percorso calcistico. In un calcio dove Ronaldo, Quagaliarella e Buffon (tanto per fare esempio del nostro campionato) continuano a fare la differenza, vi è anche chi deve appendere le scarpette a soli 33 anni. La vera vittoria di Claudio però è stata proprio fare questa scelta. Sarebbe stato più facile accettare una qualsiasi proposta per provare a tirare avanti con un altro contratto per poi rendersi conto di non essere pronto per affrontare un campionato. La scelta più coraggiosa di Marchisio è stata quella di non aver paura del futuro (come lui stesso ha sottolineato), riconoscendo i propri limiti in questo momento della sua vita sportiva.
Il Principino però, a differenza di molti che si sono ritirati qualche anno più tardi e con qualche trofeo in più, ha dimostrato di essere uomo, che poi alla fine è ciò che più conta.
Il Principino ha realizzato il suo sogno. E ora è pronto ad affrontarne altri ancora.
Fonte immagine in evidenza: Profilo Facebook di Claudio Marchisio.