Nando Sanvito: “Schwazer, il 2006 e il gol di Di Stefano…”

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Oggi, 26 marzo, abbiamo avuto il piacere di intervistare il grande giornalista Nando Sanvito. Ex redattore di Mediaset, inviato a bordocampo di partite nazionali e internazionali per più di una decade, negli ultimi anni è stato in prima linea con diversi scoop giornalistici sul caso Schwazer e del suo allenatore Donati, simbolo quest’ultimo della battaglia alla corruzione del sistema sportivo.

IL CASO SCHWAZER

Allora Nando, partiamo dalla situazione che più ti ha visto protagonista negli ultimi anni: il caso Schwazer. Per chi non lo sapesse, Alex Schwazer è un marciatore italiano, oro olimpico a Pechino 2008, sospeso per doping 2 volte: nel 2012 prima delle olimpiadi di Londra e nel 2016, nel pre-Rio. Proprio il secondo rilevamento è sempre stato considerato manipolato dall’atleta e l’Ordinanza di febbraio del tribunale di Bolzano ha confermato la sua innocenza. Questo caso può rappresentare un punto di partenza per far luce sul marcio presente nel sistema sportivo?

Innanzitutto il Gip di Bolzano ha assolto Schwazer, che essendo recidivo al doping rischiava il carcere per un reato penale. Poi ha scritto che tutto quanto emerso in questo lungo iter processuale durato più di 4 anni fa pensare a una manipolazione delle sue urine per farle risultare positive al doping. Infine ha denunciato tutta una serie di reati a carico di personaggi legati alla ex IAAF, alla WADA, ai Laboratorio antidoping di Colonia e Losanna 

Non pensi che su questa brutta vicenda abbia pesato una campagna di demonizzazione della figura di Schwazer?

Sicuramente ha contribuito la presenza di una figura eccezionale nella lotta alla corruzione del sistema sportivo e al doping come Sandro Donati, allenatore di Schwazer. Con le sue battaglie dentro e fuori l’Italia dagli anni Ottanta si è fatto molti nemici e certo molti si auguravano che cadesse in disgrazia. Poi vi sono ragioni anche particolari emerse nelle 87 pagine dell’Ordinanza di un giudice come Walter Pelino, dimostratosi competente e coraggioso. Non si può a questo punto minimizzare la questione riducendola solo al fatto se togliere o meno la squalifica all’italiano per farlo gareggiare alle Olimpiadi di Tokyo. Qui c’è in ballo la credibilità del sistema sportivo in quanto tale e alcuni meccanismi arbitrari vanno totalmente riformati, tipo la collusione tra Giustizia sportiva e le Federazioni, come ha denunciato anche la Corte europea dei diritti dell’uomo


IL FALLIMENTO DELLE ITALIANE

Chiudendo la parentesi Schwarzer, spostiamoci in ambito calcistico: l’Italia in campo europeo è reduce da una vera ecatombe sportiva con fallimenti davvero clamorosi, come quello della Juventus.

Il “problema” della Juve è che ha dominato 9 anni la serie a senza avversari che potessero realmente contrastare i bianconeri e quindi stimolarli ad essere più competitivi. Questo paradossalmente è stato un handicap nel cammino europeo, anche se è riuscita ad arrivare due volte in finale. Se poi ci limitiamo all’ultimo triennio, va detto che l’oneroso investimento su un solo giocatore come Cristiano Ronaldo ha avuto sì riscontri positivi sulla visibilità internazionale, sul marketing, sulla tifoseria ma ha tolto risorse necessarie a completare l’organico e a dotarsi di una guida tecnica adeguata, una volta che si è rinnegata la scelta fatta sull’allenatore. Via Sarri, giocoforza ci si è dovuti arrangiare con quello che si aveva in casa: Pirlo era una bella scommessa ma rischiosa per la sua inesperienza.

Invece, allargando il discorso, secondo te Nando cosa manca al Calcio italiano per ritornare a una dimensione europea di successo?

Finita l’era dei mecenati che puntavano a valorizzare il prodotto calcio per riconoscenza e ricerca del consenso verso il territorio in cui operavano le loro aziende si è passati a una fase in cui chi investe nel calcio lo fa per altre ragioni, non sempre limpide e non sempre compatibili con le finalità di ciò che rappresenta una squadra nel cuore dei tifosi. Il Milan ad esempio oggi si trova nelle mani di un gestore economico che non aveva l’obbiettivo di comprare il club ma che se l’è trovato tra le mani per un’operazione finanziaria.  Poi c’è un gap di risorse economiche, oltre che manageriale e di mercato, rispetto alle grandi d’Europa

ITALIA-FRANCIA 

Lasciando da parte il calcio italiano, Nando volevo chiederti qual è la partita che hai osservato durante la tua carriera a cui sei più legato

Ne ho viste talmente tante, da bordocampo e non, che non stupirà che in quella a cui sono più legato non ho lavorato. Mondiale 2006: io avevo il compito di seguire prima il Brasile e in seguito, dopo l’eliminazione dei verde-oro ai quarti, la Francia. La finale era compito dei miei colleghi assegnati all’Italia e quindi la vidi in tribuna. Ma non in tribuna d’onore o stampa, in mezzo alla gente normale, in curva. Di fianco avevo un ragazzo svedese e uno turco con la maglia dell’Italia e dietro 20 immigrati italo-canadesi, che avevano prenotato la vacanza un anno prima, senza poter sapere i partecipanti alla finale. E chi più degli immigrati conserva il senso, il valore e l’attaccamento alla Patria? Fu un misto di emozioni uniche, in mezzo a un rumore assordante. Non ci accorgemmo del motivo dell’espulsione di Zidane e ci accorgemmo che il rigore di Grosso era quello decisivo solo dopo aver visto i festeggiamenti esplodere. Erano tutti commossi, io, che avevo lasciato la fede calcistica dopo aver iniziato a lavorare in questo ambito, in primis. Ci misi 3 giorni a tornare a casa e una volta arrivato ero davvero distrutto, ricordo di aver dormito 14 ore al giorno praticamente per una settimana..

IL “GOL PERDUTO” DI DI STEFANO

Per concludere Nando, ultima domanda: nel 2016 da una tua idea nasce un programma televisvo in collaborazione con Luisito Suarez per ricreare il “Gol perduto di Di Stefano” della partita Spagna-Belgio del 1957. Com’è stato lavorare a quel progetto?

Suarez, ex Pallone d’oro del Barça e poi campione d’Europa con l’Inter, mi aveva raccontato l’episodio di quel gol, descritto come il più bello di Di Stefano e che le cineprese di allora non avevano registrato. Quella partita non era stata trasmessa in diretta e in quegli anni le bobine di registrazione delle cineprese avevano un’autonomia limitata e poteva capitare che in un cambio di bobina arrivasse il gol e te lo perdevi. Grazie alla attuale tecnologia digitale e alla memoria da elefante di Suarez ricostruimmo quel gol. Mediaset Premium, basandosi per lo più su eventi e news, non aveva familiarità editoriale con questi tipi di programmi e dunque il nostro fu un esperimento isolato e senza particolare visibilità, ma all’estero dove Di Stefano è un vero mito l’idea fu molto valorizzata e pubblicizzata. Fu davvero un’esperienza professionale interessante, che ricordo con particolare soddisfazione

Ringraziamo ancora Nando Sanvito per la grande disponibilità dimostrata.

(Fonte immagine in evidenza: Riminimeetimg.org)