Doveva essere il Mondiale dell’ora o mai più. Doveva essere il Mondiale, che avrebbe potuto e dovuto consacrare la tanto sospirata e conclamata “generazione d’oro“. Il Belgio, però, canta il classico canto del cigno in questa rassegna iridata. Un tragico canto del cigno. Sì, perchè i Diavoli Rossi sono stati eliminati dopo appena tre partite di Qatar 2022. Basta un girone per decretare la fine di una Nazionale, che passerà alla storia per essere piena di estro, ma poco concreta in termini di trofei. Il vuoto di gloria, che caratterizza questo Belgio lo stabiliscono il Marocco prima e la Croazia poi. Due avversari tosti, ma non certo irresistibili per gli uomini di Roberto Martínez, che si presentano a questi Mondiali sulla scia, lasciata da una rosa in grado di ottenere il 3° posto in Russia.
SI RIPARTE DAL GRUPPO STORICO
Il Belgio si presenta in Qatar con un’ossatura ben definita e sicuramente molto valida, nonostante l’età sia avanzata per la sua maggior parte. Delle 32 nazionali presenti in Qatar, quella allenata da Roberto Martínez è la quinta squadra più vecchia della rassegna. I Diavoli Rossi si proiettano a tale Mondiale con un’anagrafe media pari a 27,8 anni. Colui che alza in assoluto tale dato è sicuramente Jan Vertonghen con i suoi 35 anni. Il difensore dell’Anderlecht capeggia sotto questo aspetto un gruppo storico, contornato dalla presenza di diversi leader di grande levatura tecnica: in primis, capitan de Bruyne, il quale ha il compito di illuminare una manovra, che gente come Eden e Thorgan Hazard, Ferreira Carrasco deve rifinire per i principali finalizzatori offensivi; è inevitabile pensare a Romelu Lukaku, ma la verve di Batshuayi e Mertens sono più necessarie di quanto la carta possa raccontare.
IL BELGIO SI ARMA DI GIOVANI DI SUPPORTO AI “VECCHI”
L’esperienza e la qualità del Belgio, però, non si racchiude solo tra i “fondatori” della “generazione d’oro“. Nella lista dei convocati per il Mondiale qatariota, Martínez ha chiamato anche diversi prospetti, nati nel nuovo millennio. Il loro ruolo in questa rassegna è quello di “affiancamento” ai veterani e di intervento in casistiche abbastanza estreme. Questo è il caso appartenente al difensore centrale, classe 2003, Debast. Il giocatore dell’Anderlecht è il più giovane della rosa e guida una lista di prospetti, che include anche il jolly arretrato classe 2001 dell’Everton, Onana, barcamenante tra la linea centrale arretrata e la linea mediana; nell’elenco è possibile rintracciare due identikit offensivi, che portano i nomi di Doku, messosi in mostra già negli ultimi Europei grazie al suo celere cambio di passo lungo entrambe le fasce del tridente d’attacco, e Openda, polivalente attaccante del Lens. Quindi, a conclusione di questa sottocategoria, c’è anche un po’ di Serie A passata e presente: l’attuale difensore del Rennes, Theate ha militato nel massimo campionato di calcio italiano con la maglia del Bologna. De Ketelaere, invece, è il fiore all’occhiello del mercato estivo del Milan, con cui, però, non ha attraversato una prima parte di stagione memorabile. Insomma, gli “ingredienti” per far bene ci sono tutti, ma le aspettative non vengono soddisfatte.
LA DISFATTA DEL BELGIO È SERVITA
Con il senno di poi, si potrebbe affermare che il Belgio sia capitato in uno dei gironi più complessi dell’ultimo Mondiale. Il gruppo F, completato dalle presenze di Marocco, Croazia e Canada, giustificherebbe anche una prematura eliminazione dalla fase finale del torneo. Ma quasi nessuno avrebbe scommesso su un’estromissione per mano delle prime due selezioni citate. Il 3° posto finale della squadra di Dalić e, in particolar modo, la 4ˆ posizione, conseguita dalla compagine di Regragui, non erano preventivabili inizialmente. A dirla tutta, uno di questi due piazzamenti doveva spettare proprio al Belgio, già semifinalista a Russia 2018. La piacevole cavalcata mondiale di quattro anni fa non conosce repliche, perchè i Diavoli Rossi si riscoprono poco uniti e quasi appagati da quanto precedentemente raggiunto. Gli uomini di Roberto Martínez sono sembrati poco sul pezzo. Svogliatezza, poca lucidità fisica e mentale e poche idee. Si può riassumere così il Mondiale del Belgio, che dà delle prime avvisaglie nella sfida d’esordio contro il Canada.
CARRASCO ABULICO, COURTOIS DAI DUE VOLTI
La vittoria striminzita contro la nazionale nordamericana è l’unica nota intonata di tutto il Mondiale del Belgio, che esaurisce la propria positività di rendimento sull’asse Alderweireld-Batshuayi. Sta tutto in quel lancio in profondità e in quel bel sinistro volante di controbalzo tutto il “buono” del percorso dei Diavoli Rossi. Che, però, soffrono sin dalle primissime battute, concedendo occasioni clamorose. L’emblema di quanto appena detto sta nell’intervento scomposto con il braccio sinistro di Ferreira Carrasco: il calcio di rigore, da lui procurato, è un campanello d’allarme, che il funambolico esterno dell’Atlético Madrid non riesce a cogliere. Le sue prestazioni non lasciano il segno con la sua proverbiale velocità e e, se possibile, rischiano di far capitolare il Belgio sin da subito. A salvarlo ci pensa Courtois. Il portiere del Real Madrid è un altro dei protagonisti più attivi di questo Mondiale. Nel bene e nel male. La parata sul rigore di Davies nella partita contro il Canada gli fa guadagnare i galloni di profeta in patria. La mancata opposizione sulla punizione vincente di Sabiri in apertura di ripresa di Belgio-Marocco scava l’inizio del baratro della nazionale di Martínez. La scarsezza dei riflessi, con cui riceve il tiro del centrocampista della Sampdoria è tanto inefficace quanto goffo e fa crollare anche il muro del VAR, che annulla una situazione praticamente simile, avvenuta nel primo tempo ad opera di Ziyech.
LUKAKU FLOPPA E, CON LUI, TUTTO IL BELGIO
Questi due abbagli clamorosi, che accrescono la preoccupazione di un’esclusione, diventano realtà grazie allo 0-0 contro la Croazia, favorito dalla peggior prestazione sotto porta di Lukaku in carriera. Qualcuno correrà subito in sua difesa, dicendo che ha affrontato quest’edizione del Mondiale in condizioni fisiche precarie. Questo è sicuramente vero, perchè ha giocato poco per via di una condizione fisica poco brillante durante la sua prima parte di stagione all’Inter. Tuttavia, se ci si porta dietro l’etichetta di campione in grado di decidere le partite, accettare tre errori sotto porta come situazioni che fanno parte del gioco, è inammissibile. Pena, sarebbe meglio rietichettare lo status del nove belga. Chiariamoci: nessuno ha mai discusso la bontà del giocatore. Un campione, però, è tale nel momento in cui i suoi gesti tecnici acquisiscono un peso specifico di rilievo per una squadra. Nella fattispecie, Lukaku non è riuscito nell’intento. Il suo fallimento rimbomba forte e si estende a tutta una generazione, che sventola la bandiera bianca. Sì, perchè l’inefficienza di Lukaku a Qatar 2022 è solo l’ultimo stadio del Belgio, una favola mai diventata storia.