Nel celebre romanzo Uno, nessuno e centomila, Luigi Pirandello cristallizza quella che sarà ricordata come la teoria della maschera, secondo cui ognuno indossa la maschera richiesta dal contesto sociale in cui si trova e dalle circostanze che lo caratterizzano, nascondendo di fatto il suo vero volto e arrivando fino all’estremo annullamento dell’io. Le maschere nella lunga storia dell’umanità hanno sempre svolto la duplice di funzione di nascondere qualcosa e di rappresentare qualcos’altro. Nel teatro greco la funzione della maschera era quella di caratterizzare il personaggio, affinché venisse immediatamente riconosciuto dallo spettatore e la lunga tradizione del teatro ha mantenuto questa sfaccettatura, creare dei tipi di maschera ben riconoscibili che avrebbero risposto a determinate aspettative del pubblico. La maschera quindi nasconde, ma al tempo stesso costringe chi la indossa ad essere ciò che da quella maschera ci si aspetta. Da un numero dieci in un campo da calcio ci si aspetta sempre la giocata risolutiva, il colpo di classe, quel numero è la maschera che viene affibbiata a un giocatore che ha il dovere morale di rispettare le attese che quel numero crea. È la maschera che ha dovuto vestire per tutta la sua carriera calcistica Paulo Dybala, prima di riuscire a trovare la propria cifra personale e consacrarsi nell’Olimpo dei Diez.
LA JOYA
La storia di Paulo Dybala comincia in Polonia, da dove nonno Boleslaw scappa dopo aver vissuto gli orrori della guerra ed essere stato in un campo di prigionia tedesco. Da Krasniow, piccolo villaggio nel Sud della Polonia, a Laguna Larga, città argentina nella provincia di Cordoba. Un viaggio della speranza, senza nessuno ad attenderlo dall’altra parte dell’Atlantico. Per due settimane vive in un campo di pannocchie, dove rischia l’assideramento, la fame lo incalza, ma alla fine viene salvato, dando il via alla nostra incredibile storia.
La discendenza Dybala continua in Argentina, nonno Boleslaw nemmeno parla più il polacco, ha qualche contatto scritto ma il vecchio Continente è ormai un ricordo. Papà Adolfo è argentino fino all’osso, proprio come lo sarà Paulo, gioca a calcio e custodisce il sogno di vedere uno dei suoi figli giocare in Primera Division. Lui, soprannominato El Chancho, il maiale, non può aspirare a tanto, come dimostra quel nomignolo guadagnato a suon di entrate non proprio composte. I suoi primi due figli, Gustavo e Mariano, non possono esaudire il suo sogno, ma Paulo si. Mamma Alicia racconta come il piccolo Paulo non si separi mai dalla palla, da quando ha 4 anni non fa altro che giocare a calcio. Papà Adolfo intuisce che le condizioni sono propizie, porta il figliolo di dieci anni a fare un provino col Newell’s Old Boys, ma poi ci ripensa, troppa distanza da casa. Allora Paulo finisce per giocare con l’Instituto di Cordoba, giunto al provino con la maglia del Boca, dopo dieci minuti il gialloblu è diventato biancorosso. Pretino, chiamato così perché la maglia troppo grande gli cadeva come una tunica, incanta con la palla tra i piedi. Il sogno di papà Adolfo si sta per realizzare, ma la tragedia è dietro l’angolo.
La mano provvidenziale che aveva salvato nonno Boleslaw da quel campo di pannocchie, stavolta non aiuta papà Adolfo, che viene strappato via da questo mondo da un tumore al pancreas. Per Paulo è un colpo terribile, nemmeno il calcio ha più senso senza la sua guida, vuole lasciare, ma per fortuna in famiglia lo convincono a ripensarci. Dybala continua a giocare a calcio, il 12 agosto 2011 esordisce nella Serie B argentina. Vive una stagione fuori dal comune, mette a segno 17 gol in 38 partite, diventa il giocatore più giovane a segnare un gol nella storia dell’Instituto, soffiando il record a un certo Mario Kempes, eroe del discusso successo mondiale dell’Argentina del 1978. Un giornalista ha un’intuizione geniale, dopo solo una partita chiama Dybala la Joya, marchiandolo a vita, costringendolo a indossare la prima delle tante maschere che Paulo dovrà portare per tutta la carriera.
Il gioiello, letteralmente. Una perla da ammirare, che risplende della luce che dal cielo viene dallo sguardo vigile di papà Adolfo, che spinge suo figlio verso quel tanto agognato desiderio, che però s’infrange all’ultimo ostacolo, quando l’Instituto perde la finale promozione col San Lorenzo. Dybala non corona il sogno del padre di vederlo giocare in Primera, ma il destino si appresta a ultimare un disegno che stava intessendo da molto tempo. Laguna Larga si trova nella provincia di Cordoba, città che aveva dato i natali a Javier Pastore, che appena un’estate prima aveva salutato Palermo dopo averla inondata di talento puro. Sempre lì a Laguna Larga, la famiglia Dybala gestiva una tabaccheria, chiamata La Favorita, come lo stadio che a breve avrebbe ammirato la bellezza della Joya. C’era Palermo nel destino di Paulo, da subito, e nell’estate 2012 quel destino finalmente si compie.
U’ PICCIRIDDU
Paulo Dybala arriva in Sicilia nell’estate 2012, per la cifra sostanziosa di 12 milioni di euro. Operazione molto discussa, con alcuni intrighi economici tra società detentrici del cartellino e commissioni che per fortuna del calcio si sono risolti per il meglio. Palermo era in un periodo di flessione, dopo un ciclo strepitoso, culminato con la sconfitta in finale di Coppa Italia del 2011. Gli addii di alcuni calciatori simbolo, su tutti Pastore e Cavani, avevano lasciato un vuoto tecnico ed emotivo nel club, l’acquisto di Dybala era proprio in tal senso un tentativo di regalare alla piazza un giocatore che tornasse a farla sognare. Il primo anno in rosanero di Dybala è però complesso, la squadra va male, tanto da retrocedere a fine stagione, e Paulo non riesce ad affermarsi, chiudendo l’annata con appena 3 gol. Anche l’anno successivo in Serie B non parte nel migliore dei modi, nonostante una maglia da titolare fuori discussione e la stima di Gennaro Gattuso.
“Ti basta un secondo per capire che è di un altro pianeta”.
La svolta però arriva quando sul cammino di Dybala si piazza un altro italo-argentino, tenuto fuori da Ringhio, ma rilanciato da Iachini, subentrato in corso d’opera sulla panchina rosanero. Si tratta di Franco Vazquez, che va a formare una coppia formidabile con Dybala, capace di riportare prima il Palermo nella massima serie, e poi di far vivere ai rosanero un’ottima stagione in Serie A. La stagione 2014-2015 è quella della consacrazione. La Joya veste la maschera di U’ Picciriddu, il figliol prodigo della tifoseria siciliana. Quel piccoletto però in campo è un gigante, faccia pulita e rendimento da campione. Nel 3-5-1-1 disegnato da Iachini sorregge tutto il peso dell’attacco, sfruttando le ripartenze orchestrate alla perfezione dal partner in crime Franco Vazquez, riuscendo ad aprire gli spazi coi suoi movimenti imprevedibili e mostrando un senso del gol letale in area di rigore. A fine stagione i gol sono 13, 10 invece gli assist. L’Italia scopre un talento purissimo, Palermo si conferma piazza ideale per quelle gemme in attesa di esplodere. Il sole della Sicilia è l’ideale per far maturare frutti deliziosi.

Fonte: profilo ufficiale Twitter @PauDybala_JR
U’ Picciriddu si è fatto uomo con la maglia rosanero. La maschera da giovane talento ormai non lo rispecchia più, il pubblico da lui si aspetta ben altro, è ora di cambiare costume per il nuovo atto.
DIEZ
Arriva poi per Dybala la Juventus. La grande chiamata. Ciò che a Palermo era stato Pastore, a Torino era Tevez. La maschera che Paulo doveva indossare, il retaggio da accettare. L’apache è stato il primo a raccogliere la grave eredità della numero dieci di Alex Del Piero, una maglia pesantissima, anche una squadra come la Juventus che di campioni ne ha visti. Tevez saluta la Vecchia Signora proprio quando arriva Dybala, un passaggio di consegne molto chiaro, che però si concretizza effettivamente dopo due anni di permanenza a Torino. Due stagioni in cui Paulo è cresciuto, ha dato tanto alla Juve, ha realizzato quasi 50 gol, segnato quella strepitosa doppietta al Barcellona in Champions. Ma in cui ha anche vissuto l’esperienza catartica, ha cristallizzato la propria maschera, prendendo finalmente in mano il suo destino.

Fonte: profilo ufficiale Twitter @PauDybala_JR
23 dicembre 2016, a Doha va in scena la Supercoppa italiana tra Juventus e Milan. Dopo l’1-1 dei tempi regolamentari si va ai supplementari, in cui Paulo ha la palla della vittoria, ma la spreca. Ai rigori, poi, quell’errore si raddoppia, con l’argentino che fallisce il tiro dal dischetto, prima del rigore decisivo di Pasalic che regala la vittoria ai rossoneri. Una delle notti più complicate per Dybala, che accusa il peso del fallimento, ma che da quella caduta trarrà una conseguenza che lo cambierà per sempre.
11 gennaio 2017, Coppa Italia, Juventus-Atalanta. Asamoah controlla palla dalla trequarti sinistra, alza la testa, fa partire un cross abbastanza sconclusionato, su cui però si fionda con tutta la sua rabbia Mandzukic, che svetta, appoggiando la palla all’indietro. La sfera balla al limite dell’aria, come una furia arriva Dybala, che la colpisce di sinistro, un missile su cui nulla può il povero portiere bergamasco. L’argentino segna, va a esultare, ma lo fa con un gesto inconsueto, mai fatto prima. Porta la mano sul volto, pollice sotto l’occhio destro, indice sotto al sinistro, una maschera che gli copre la metà inferiore del volto. La Dybalamask diventa subito virale, anche se il suo significato rimane inizialmente nascosto, finché non è lo stesso Paulo a rivelarlo.
“Ho fallito più e più volte nella mia vita, e per questo ho avuto successo. La maschera è quella del Gladiatore, film che ho visto ormai trenta volte, nella vita bisogna rialzarsi e combattere. Ma anche capire che ci sono guerre inutili”.
Dopo averne vestite tante, dal Pretino alla Joya, tutte imposte dagli altri, Paulo finalmente sceglie la propria maschera. L’atto di affermazione di Dybala, la presa di coscienza della sua vera essenza. Dopo quell’esperienza catartica, Paulo mette su la maschera che lui vuole per se stesso, e con cui è pronto ad assumersi l’onere più grande in maglia bianconere.
“Quando i dirigenti me l’hanno proposta ci ho pensato un po’ su, ma un’offerta del genere non si rifiuta. Per me è un onore e una responsabilità: devo dimostrare di meritarla ogni giorno”.
Dalla stagione 2017-2018 Paulo Dybala veste la maglia numero dieci della Juventus. La maglia con cui qualche mese dopo segna il gol più bello della sua carriera, almeno secondo il parere del diretto interessato. 3 marzo 2018, Stadio Olimpico. La Juventus in piena lotta scudetto è ferma sul risultato di 0-0 con la Lazio, mancano ormai pochi secondi, ma sono quelli che fanno la differenza tra un successo e un fallimento. Dybala riceve palla dal vertice sinistro dell’area di rigore, si gira in un fazzoletto, entra in area. Resiste alla pressione dirompente di Parolo, piano piano si accartoccia al suolo, se cascasse forse l’arbitro fischierebbe rigore. Sarebbe facile, ma nella vita di Paulo e della sua famiglia nulla è stato mai facile. Se è arrivato lì è perché ha lottato, non perché ha preso la via più facile. Paulo è un gladiatore, deve combattere, e quindi resiste, va a terra, e quando tutto sembra ormai perduto, il genio si rivela. Da terra Dybala colpisce il pallone, con una forza innaturale, che lo spedisce sotto l’angolino alto della porta avversaria. È gol. Più di un gol. È la vittoria. Dybalamask sotto il settore ospiti, davanti alla propria gente, che riconosce il proprio condottiero, e lo acclama. Come in un’arena dei gladiatori. “Paulo, Paulo, Paulo”. E il nome si fa leggenda.
IL GLADIATORE
Dyabla è alla sua quinta stagione alla Juventus, dove tra alti e bassi si è ormai affermato come uno dei punti fermi della squadra. Tra stravolgimenti tattici e caratteriali, Paulo alla Juve è cresciuto tantissimo, mantenendo sempre quella consapevolezza di essere un giocatore sopra la media. A Torino ha svestito i panni del nove, portati con regale onore a Palermo, ha abbassato gradualmente il proprio raggio d’azione, a volte anche troppo, coprendo il ruolo del trequartista. Un po’ atipico a dire il vero, visto che il fiuto del gol finissimo lo porta sempre ad essere una minaccia costante dentro l’area avversaria, così come la sua classe innata lo spinge a dover cucire necessariamente l’azione, smarrendo alcune volte quel legame con la porta che ha rappresentato l’aspetto centrale dei suoi primi anni di carriera. A Torino Dybala si è consacrato come un numero dieci moderno, capace di illuminare la scena con la propria classe, ma anche di lottare col fisico quando ce n’è bisogno. La forza nelle gambe infatti è tanta quasi quanto la precisione nei piedi, una vigoria che gli permette di gestire il pallone in spazi stretti, resistendo anche a qualche colpo proibito di troppo. Un potere che da sostegno poi a quel talento spropositato che incastona nelle perle che regala ai tifosi.

Fonte: profilo ufficiale Twitter @PauDybala_JR
Dalla Polonia all’Argentina. Un viaggio intergenerazionale che ha portato Paulo Dybala alla piena affermazione di se. L’Argentina come patria scelta, su di lui c’erano anche le mire di Polonia e Italia, ma Paulo ha voluta aspettare la Selección, con cui ha esordito il 13 ottobre 2015 sostituendo, guarda caso, proprio Carlos Tevez. La maschera del gladiatore come atteggiamento esistenziale, scelta consapevole, ma anche frutto del destino, che ancora una volta aveva già preparato tutto. Il primo gol in Serie A con la maglia della Juventus per Dybala è arrivato a Roma, contro i giallorossi, nella sconfitta per 2-1. Ancora prima, la prima marcatura juventina è stata in Supercoppa contro la Lazio. Roma c’era già quindi, nel destino di Paulo, andava solo riscoperta.
Pirandello sostiene che tutti siamo costretti a indossare una maschera, finendo per perdere noi stessi. Ma se scegliamo volontariamente di indossare una maschera precisa, forse finiamo per rivelare il nostro vero essere. La vita è un gioco di maschere, di riflessi che cambiano da contesto a contesto, da situazione a situazione. Dybala lo sapeva, l’ha saputo fin da bambino. Ha quindi deciso di prendere in mano il proprio destino, di scegliere la propria maschera, per non doverla mai più cambiare. U’ Picciriddu si è fatto Diez, con la propria maschera addosso. Arriverà il giorno in cui, proprio come Massimo nel film di Ridley Scott, anche Paulo andrà incontro a suo padre nei campi elisi, getterà la maschera e avrà finalmente coronato il sogno di quell’uomo portatogli via troppo presto. Ma non ancora.