Professionismo sempre più vicino, sul campo e nelle menti

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L’ambiente calcistico femminile italiano, circa due giorni fa, ha raggiunto un netto punto di svolta. In Senato, è passato durante l’esame della Legge di Bilancio l’emendamento promosso dal senatore Tommaso Nannicini, riguardante lo sgravio su contributi assistenziali e previdenziali per le società femminili per tutto l’arco delle prossime tre stagioni. In parole povere, ciò consente innanzitutto alle calciatrici di ottenere delle tutele lavorative legate alla legge sul lavoro sportivo. Per le società, invece, sono promossi degli sgravi fiscali qualora stipulassero questo tipo di contratto con le proprie calciatrici.

Una differenza netta rispetto alla condizione passata nella quale gravavano le massime atlete italiane, anche se comunque il passo finale per l’ottenimento del professionismo non è ancora stato conseguito. Nonostante ciò, questo emendamento è senza dubbio un grande punto di partenza, per donare sempre più credibilità al movimento.

COSA MANCA AL PROFESSIONISMO?

Per il raggiungimento del professionismo, ancora tuttavia manca un passo importante. La politica, da sola, può fare qualcosa ma adesso la palla passa in federazione. Gravina, da sempre forte promotore della realtà calcistica femminile, ha il dovere di prendere una posizione netta, diminuendo considerevolmente i tempi di istituzionalizzazione del professionismo. Un dilettantismo di base, non fa altro che stagnare il livello complessivo del campionato sempre più in basso, con la presenza di compagini non di livello adeguato. Gravina, aveva teorizzato all’inizio del suo corso una forte rivoluzione sportiva, soprattutto legata alle infrastrutture e alle giovanili. Ciò effettivamente è accaduto, con sempre più squadre professionistiche entranti nella realtà del gentil sesso, portando competenze specifiche e metodologie di lavoro differenti.

Fonte: profilo IG @azzurrefigc

Rispetto tuttavia ad altri Paesi come Spagna e Inghilterra, a livello europeo i team azzurri sono ancora considerevolmente indietro. Questo perché negli stati precedentemente citati, la tradizione femminile è già molto più sviluppata e, conseguentemente, il professionismo è già una realtà assodata. L’esempio lampante probabilmente lo si è avuto nei sedicesimi di finale di Champions League di questa stagione: Juventus-Barcellona e Fiorentina-Arsenal. Due partite che a priori erano già segnate e, infatti, Barcellona e soprattutto Arsenal non hanno faticato minimamente ad ottenere il passaggio del turno.

GIOCATRICI SOLAMENTE E UNA DIVERSA STRUTTURAZIONE

Con la messa all’opera del professionismo, inoltre, si andrebbe probabilmente a perdere un grave fattore che nella controparte maschile non è neanche considerato. Sono molte le calciatrici militanti in serie minori (Serie B o C), ma anche in modesti club di Serie A, che decidono di smettere con lo sviluppo della propria carriera calcistica a favore di un prosieguo in quella lavorativa. Ciò potrebbe non lasciare totalmente sgomenti voi lettori, ma come può esser possibile che una donna, anche a livelli medio-alti, debba scegliere fra lavoro e allenamenti. Con il passaggio al professionismo, i risvolti economici sarebbero oltremodo dissimili e l’attenzione posta alla cura del singolo talento senza dubbio differente. Per performare ai più alti livelli, un’atleta deve porre solamente il proprio sport al centro dei propri pensieri, distaccandosi completamente dal mondo lavorativo esterno.

Giulia Orlandi, bandiera della Florentia San Gimignano, ritiratasi a 32 anni per proseguire una carriera lavorativa.
Fonte: profilo IG @florentiasangimignano

Approcciarsi al gioco del pallone significa innegabilmente vivere un’esperienza di arricchimento personale e soprattutto interiore. Tuttavia questa possibilità di sviluppo della propria persona deve essere tutelata e portata sempre più in risalto. Con il passaggio ad un target di campionato più alto, deve essere preventivato una progressiva scomparsa dagli alti livelli di società dilettantistiche non in grado di adempiere agli alti costi del professionismo. Da una parte ciò rappresenta senza dubbio un peccato, in quanto si perderebbe un po’ dell’aspetto romantico di tale sport. Tuttavia, la formazione di un intero campionato con squadre sensibilmente forti a livello economico permetterebbe un generale innalzamento della caratura competitiva e tecnica della competizione. Un cambiamento progressivo che di certo non bisogna forzare con le tempistiche, ma che deve dare frutti nel più breve lasso di tempo possibile.

IL MONDIALE COME RAMPA DI LANCIO

Inutile girarci intorno, il Mondiale di Francia trasmesso sulla principale rete nazionale, in chiaro, ha consentito alle giocatrici azzurre di ottenere una visibilità mediatica mai avuta prima. Gama, Galli, Giuliani, Bonansea, Girelli, Sabatino, Giugliano, erano tutti profili che solamente gli appassionati conoscevano concretamente. Dopo la competizione intercontinentale, tuttavia, la compagine italiana ha ottenuto un tale seguito che ha lasciato esterrefatti anche gli stessi addetti ai lavori. Le partite della nazionale erano vissute come gli incontri di un mondiale maschile, con un lungo prepartita televisivo anche i giorni precedenti al match. Trasmissioni, telegiornali, che non facevano che parlare della spedizione azzurra. Oltretutto, tanto dell’appetibilità delle ragazze è che loro stesse si sono poste come gente comune, normali elementi solamente in grado di calciare un pallone. L’ambiente si è completamente calato nella rosa e ha ottenuto un effetto di totale empatia.

Merito di ciò è sicuramente un’attenzione precedente al contesto femminile non così alta. Giocare in un alto club di Serie A, significa sostanzialmente ricevere uno stipendio di poco più alto rispetto ad una paga mensile media. Non avendo dunque un giro di flusso monetario pare ai colleghi maschili, le ragazze inevitabilmente si presentavano come soggetti più umili e maggiormente arrivabili da noi tifosi. Un ruolo importante è stato anche giocato dalla C.T. Milena Bertolini, che ha sempre mantenuto le proprie ragazze con i piedi saldamente ancorati a terra.

PICCOLI SEGNALI PRECEDENTI

Un segnale di sviluppo del movimento, comunque, si era già potuto constatare il 24 marzo di quest’anno. Juventus-Fiorentina, al tempo prima contro seconda, si era disputata in uno Juventus Stadium completamente sold out. Uno stadio stracolmo di gente pronta ad assistere alla migliore sfida che fino a quel momento la realtà femminile italiana poteva concedere. Attualmente, avere stadi gremiti di persone è un qualcosa di sempre più normale per il campionato in rosa. Tuttavia l’ampiezza delle infrastrutture è considerevole, senza però essere enorme. Lo stadio più grande nel massimo campionato è probabilmente il Brianteo (che ospita le gare casalinghe del Milan) con ben 18.568 posti di cui solamente 7.499 omologati. La media generale del campionato è circa sui duemila posti, raramente qualcosa di più. Nonostante ciò si sta discutendo della possibilità dell’esercizio di tale sport in veri e propri stadi. Emblematiche le parole di Giuseppe Sala sul destino di San Siro:

Io chiedo se esiste la possibilità di trasformare l’attuale San Siro in un impianto più piccolo, mantenendo per esempio solo il primo anello. La crescita del calcio femminile, l’attenzione dei tifosi verso le giovanili, possono creare il bisogno di una “arena civica”. Utile alle squadre che oggi sono costrette a giocare fuori città.

Fonte: profilo IG @acf_women

Progressivamente si stanno ottenendo piccole vittorie a singole battaglie, che in maniera inevitabile confluiranno poi nella nascita di un ambiente professionistico. La caparbietà è l’unica metodologia lavorativa da promuovere e la serietà progettuale un diktat da non perdere mai.

 

(Fonte immagine copertina: profilo IG @azzurrefigc)