A tu per tu con Julio Sergio

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Grande protagonista di una delle stagioni più entusiasmanti della storia recente della Roma, anche se al contempo una delle più deludenti. Oggi ripercorriamo la carriera di Julio Sergio, ex portiere tra le altre dei capitolini e del Lecce, un viaggio attraverso le parole del diretto interessato, dagli esordi in Brasile alle notti romane, fino al ritiro e all’esperienza da allenatore.

PRIMI PASSI

Julio Sergio nasce l’8 novembre 1978 a Ribeirao Preto, città brasiliana nello stato di San Paolo. Inizia a muovere presto i primi passi nel mondo del calcio, approdando nel 1995 nelle giovanili del Botafogo.

“Ai tempi della scuola c’era un mio amico, si chiamava Daniel, lui andava in una scuola calcio e mi ha invitato per andare insieme a lui in questa scuola. Ero piccolo, avrò avuto 7-8 anni. Piano piano la cosa andava avanti, sono andato al Botafogo di San Paolo e lì ho iniziato la mia avventura. A 14 anni ero in prima squadra, a 17 ho  firmato il primo contratto da professionista”.

Una carriera che sta nascendo, subito con un pensiero fisso: difendere la propria porta.

A scuola facevo tutto quello che si poteva fare, anche altri sport come pallavolo, handball. Poi in questa scuola calcio ho iniziato come portiere e ho capito subito che era quello che volevo fare“.

Il futuro di Julio è in Europa, anche se lui nemmeno ci pensava. È nato tutto per caso, con un filmato e fortunate coincidenze.

No, assolutamente non pensavo ad andare in Europa. A quel tempo il calcio era diverso, parliamo di 30 anni fa ormai. Quando ero nelle giovanili del Botafogo il mio sogno era giocare in prima squadra. Poi piano piano gli obiettivi cambiano. L’idea di andare in Europa è iniziata con mio fratello, lui voleva la cittadinanza italiana. La prima volta che sono andato in Italia, per fare tutti i documenti, ho portato un mio filmato, se non sbaglio era il 2005. Sono andato a Ripa Reatina, dove vivevano i miei, ho fatto vedere quel filmato in un bar, ormai avevo una certa età, avevo vinto due scudetti in Brasile. C’era una squadra italiana che ha ricevuto il mio filmato grazie a un mio caro amico, Luigi, e così è nata l’idea di andare in Europa”.

Nel gennaio 2006 si concretizza il passaggio alla Roma, in seguito a un provino patrocinato da Zago, difensore brasiliano campione d’Italia con i giallorossi nel 2001. Nelle sue prime tre stagioni in giallorosso non viene mai schierato, fino al 30 agosto 2009, quando fa il suo esordio in un match decisamente non banale: Roma-Juventus.

“Nel giorno della partita sono andato nello spogliatoio e c’era Spalletti. Non sapevo di giocare. Lui mi ha dato un colpo sul petto, sul cuore, mi ha detto: “Sei pronto?”. E io ho risposto: “Sempre”. Poi nella riunione prima della partita ho visto che ero titolare. È stata una grandissima emozione, l’esordio all’Olimpico contro la Juve è una cosa indescrivibile. Purtroppo abbiamo perso, 3-1, ma ho fatto una buona partita ed è stato l’inizio di una bella storia. Una giornata indimenticabile”.

Mattatore di quella partita è stato Diego, autore di una doppietta. Un legame particolare per l’ex bianconero con Julio Sergio.

“Noi abbiamo giocato insieme due anni e mezzo al Santos, abbiamo vinto due scudetti. siamo della stessa città”.

Fu una stagione fantastica, anche se culminata in una grande delusione. Julio Sergio è stato uno dei grandi protagonisti di quella strepitosa cavalcata. L’affermazione personale del portiere brasiliano avviene probabilmente il 6 dicembre 2009, quando durante il derby fa una parata straordinaria su Stefano Mauri.

“È la parata che ha avuto più visibilità, per tutto quello che ha significato, anche per me. Quindi possiamo dire che è la parata più bella della mia carriera“.

Attardata, la Roma continua la propria cavalcata all’inseguimento dell’Inter. La consapevolezza di poter contendere lo scudetto ai nerazzurri viene proprio dalla vittoria nello scontro diretto. I giallorossi ospitano i milanesi e vincono 2-1, con i gol di De Rossi e Toni, in un Olimpico da brividi.

“Si scende sempre in campo per vincere, non importa chi si abbia davanti. Noi avevamo una grandissima squadra, loro erano una squadra di campioni. Abbiamo fatto tanta fatica per riprenderli e sorpassarli, al gol di Toni forse c’è stato il più grande boato della storia dell’Olimpico, magari battuto solo da Roma-Barcellona, ma purtroppo non c’ero.  Una partita indimenticabile”.

Dal successo interno con l’Inter, la strada per la Roma si fa in discesa. L’11 aprile i capitolini battono l’Atalanta all’Olimpico e sorpassano i nerazzurri, fermati la sera prima sul pari dalla Fiorentina. Una settimana dopo per i giallorossi arriva subito la prova del fuoco: il derby. Il match parte male, Rocchi porta avanti i biancocelesti. A fine primo tempo Ranieri sorprende tutti, fuori Totti e De Rossi, dentro Menez e Vucinic. Dopo due minuti dall’inizio della ripresa il dramma giallorosso rischia di concretizzarsi: Kolarov viene atterrato in area, è rigore per la Lazio. Dal dischetto però Floccari si fa ipnotizzare da Julio Sergio, che diventa l’eroe del match, insieme a Vucinic che sigla la doppietta che ribalta il risultato. Quel rigore parato rimane forse il gesto più rappresentativo del portiere brasiliano.

“Un ricordo bello, anche per il momento della partita in cui è arrivato. Inizio secondo tempo, eravamo sotto, paro il rigore, vinciamo il derby in rimonta, con tutto ciò che è successo durante la partita. Sono stato fortunato nei derby che ho giocato“.

Poi però il drammatico Roma-Sampdoria, con la doppietta di Pazzini che spegne i sogni scudetto della Roma.

È l’unico rimpianto della mia carriera quella partita. Non so cosa sia successo, forse eravamo stanchi, abbiamo dato tanto per arrivare lì, abbiamo avuto un calo di concentrazione che ci è costato tantissimo”.

La Roma conclude la stagione al secondo posto. L’anno successivo Julio Sergio vive anche l’esperienza di esordire in Champions League.

“La Champions è il massimo. Ho esordito a Monaco, abbiamo perso, ma ho fatto una partita sufficiente. Per un calciatore la Champions è l’obiettivo massimo”.

L’ultimo frame della sua esperienza in giallorosso è Brescia-Roma, quando nonostante un grave infortunio, Julio Sergio rimane in campo, in lacrime, a difendere la porta giallorossa. Quelle lacrime lo hanno consacrato come uno dei beniamini del tifo giallorosso.

“Io sono consapevole dei miei limiti. Quando hai l’opportunità di indossare la maglia della Roma, con tanti grandissimi giocatori, non potevo fare altro. Stavo male, nemmeno riuscivo a parare, ma eravamo sotto sia di punteggio che di uomini, non avevamo cambi, ma volevo rimanere ad aiutare i miei compagni a pareggiare. È stata una cosa naturale, con tutti i sacrifici fatti per arrivare dove sono arrivato non sarei uscito nemmeno morto“.

Dopo Roma ancora il giallorosso nel destino di Julio Sergio, che nell’estate 2011 passa in prestito al Lecce. Gli infortuni frenano però l’avventura salentina del brasiliano, che si rivela più magra del previsto.

“Poteva andare meglio. Gli infortuni mi hanno tolto tanto a Lecce“.

Dopo Lecce il ritorno a Roma, poi l’addio e il rientro in Brasile. Dopo il ritiro, nel 2015 è pronta una nuova avventura per Julio Sergio, non più in campo, ma in panchina.

Mi trovo benissimo a fare l’allenatore. Ho avuto la fortuna di incontrare allenatori ottimi nella mia carriera, brave persone e grandi professionisti. Ranieri, Spalletti, Garcia, Montella, anche Luis Enrique per qualche settimana, mi hanno dato tanto. Sono stato fortunato. Ho imparato e ancora sto imparando, mi piace tanto”.

Tanti buoni allenatori a cui rifarsi, da cui prendere gli insegnamenti che ha ricevuto. Tre in particolare hanno plasmato il Julio Sergio allenatore.

“Prendo un po’ da tutti, ognuno ha il suo modo di fare, ma gli allenatori che mi hanno dato di più e da cui cerco di riprendere maggiormente sono Spalletti, Ranieri e Garcia. Poi ovviamente ci sono gli esempi da ammirare, Ancelotti, Simeone, Guardiola, Klopp, Sarri, li guardi e capisci che hanno qualcosa in più. Se prendi qualcosa da loro puoi solo migliorare”.

Figlio di una grande scuola di portieri quella brasiliana, Julio Sergio non ammette dubbi su chi sia il miglior numero uno al mondo.

Alisson, sicuramente”.

Tanti i modelli da cui Julio Sergio ha appreso per la sua crescita, ma ancora una volta è un connazionale il suo modello.

“All’inizio ho visto molto Taffarel, lui come me non era molto alto, ma aveva una incredibile facilità a parare, stava sempre al posto giusto. In Europa ho visto portieri come Casillas, Julio Cesar, che ammiro molto. Loro erano i miei preferiti. Di quelli visti in Italia quello che mi ha fatto più impressione è Peruzzi.

L’amore tra Julio Sergio e la Roma è qualcosa di grande, consacrato anche dalla grande ammirazione che il portiere brasiliano ha per la città di Roma, in cui lui ha trovato una vera e propria seconda casa.

Io scherzando dico sempre che di Roma mi mancano 3 cose: il caffè, l’amatriciana e la mia busta paga. Scherzi a parte, è stata un’esperienza incredibile, scoprire la città, camminare e conoscere la storia. Roma mi ha dato tanto, ho conosciuto tanti amici. I miei figli sono nati lì, in futuro ho sicuramente il progetto di tornare a viverci. Roma non si può spiegare, certe cose succedono solo lì. Mi mancano un sacco di cose, anche particolari come il traffico sul raccordo. Era bellissimo andare a Trigoria, sono stato quasi otto anni lì, ho vissuto emozioni e sensazioni indimenticabili”.

Una città che Julio Sergio amava vivere, fatta di routine e di posti del cuore.

“Scegliere un posto solo preferito di Roma è difficile. Forse la cosa più bella è fare una passeggiata in centro, mangiare qualcosa in un ristorante tipico, prendere un gelato, sedersi in Piazza di Spagna e vedere i turisti che animano la città. Una cosa che mi manca veramente è quando prima delle partite andavamo in ritiro, di solito alle 20, per l’ora di cena. Uscivo di casa, andavo a passeggiare in Viale Europa, prendevo un caffè coi miei figli e poi loro mi accompagnavano in ritiro. Questa routine mi manca”.

Infine Julio Sergio ci rivela il suo numero dieci preferito.

“Ci sono tanti giocatori che hanno fatto la storia, che hanno cambiato il calcio. Però devo dire che Totti mi ha colpito in tutti i sensi, forse anche perché tra i geni del calcio è quello che ho vissuto di più. Per me Totti è completo, in campo faceva cose impressionanti, ha scelto di restare sempre a Roma e dedicare la carriera alla sua squadra. Poi a livello personale è una persona speciale, per me è lui il numero dieci“.

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Scritto da

Danilo Budite