Il gigante fragile ha dovuto arrendersi. L’elegante “teca di cristallo” alta più di un metro e novanta made in France ha deciso una volta per tutte di dire basta.

L’uragano degli infortuni è un compagno maligno per molti, letale e decisivo per alcuni malcapitati. In tutto questo Abou Diaby non ha fatto eccezione. Il centrocampista ha realizzato il suo sogno di diventare calciatore, estraendo tenacia e determinazione dal cassetto delle speranze di ognuno di noi. Ed è entrato fin da subito nel cuore di tutti quei tifosi che avrebbero sperato ben miglior sorte per l’erede di Vieira, ma purtroppo a 32 anni la sofferenza è diventata ormai troppa, e il calcio deve dire addio al suo talento.

E’ ARRIVATA L’ORA

“Ho deciso di porre fine alla mia carriera professionale. È arrivata l’ora. Per diversi anni è stato difficile per me tornare in campo a causa di molti problemi fisici. Ho scelto di smettere semplicemente perchè il mio corpo non poteva proseguire. È complicato dal momento che ho speso la maggior parte della mia vita per il calcio, un capitolo che si chiude”.

Parola nette e chiare quelle del centrocampista francese, che non lasciano spazio ad altre interpretazioni. Del resto l’ultima partita che ha giocato risale al 21 agosto 2016 in Ligue 1. In una giornata di piena estate va in scena in quel di Guingamp la partita, appunto, fra Guingamp e Marsiglia, nella seconda giornata di campionato francese.

Le speranze dei Les Phocéens (i Focesi) sono riposte nel definitivo riscatto del centrocampista francese, con tanta voglia di fare e dimostrare. 70 minuti di buon livello creano buone speranze intorno a lui. Ma poi esce, senza più poter rientrare, senza più potersi riscattare. Perchè quella partita, come detto, sarebbe stata la sua ultima, l’ultima volta in cui avrebbe calcato il terreno di gioco che ha coronato i suoi sogni più profondi.

L’ennesima operazione alla caviglia si rivela decisiva. L’infortunio ha prevalso, il corpo ha ceduto, senza lasciare spazio alla determinazione di superare i propri limiti e rinascere. Quel maledetto corpo di cristallo, del resto, gli è costato la bellezza di 314 partite saltate nel corso della sua carriera. Un dato eloquente, a testimonianza di quanto la sorte gli abbia voltato le spalle.

L’Auxerre segna l’inizio del suo cammino, prelevandolo dalle giovanili del Paris Saint Germain e inserendolo nelle proprie, coltivando un grande talento. Con l’Auxerre col quale scese in campo solamente 30 volte nel giro di 3 anni (fra seconda e prima squadra) e nel 2006, il club si arrese alle richieste dell’Arsenal che puntò su di lui. Il Chelsea fece un tentativo, ma prevalsero i Gunners.

L’EREDE (MANCATO) DI VIEIRA

Nell’anno in cui l’Italia abbraccia la sua quarta Coppa del mondo ai danni dei francesi, una promessa dei Les Bleus fa il suo ingresso trionfale a North London, tra le file dei biancorossi. Un dato al suo arrivo all’Arsenal è interessante: il 13 marzo 2006 Diaby ha simbolicamente installato la prima poltroncina dell’Emirates Stadium, il nuovo stadio dei Gunners.

Le premesse ci sono tutte. L’addio di un campione come Patrick Vieira sentenzia una grossa responsabilità sulle spalle del giovane francese. Uno scambio di testimoni molto pesante per lui, ma il giocatore promette bene. Il giusto premio per un ragazzo che fin dall’inizio ha mostrato il suo talento. Eleganza, tecnica e velocità, unite alla potenza di un fisico possente, in grado di reggere la durezza della Premier League. Questo è Abou Diaby. Almeno sulla carta.

Sì, perchè l’arrivo a Londra del promettente talento francese va di pari passo coi primi problemi fisici. Il primo gol in quel di North London arriva nell’aprile del 2006, ma un mese dopo giunge il primo infortunio. Il primo problema alla caviglia, mai più completamente risolto, che lo tiene lontano dal rettangolo di gioco fino al gennaio successivo.

Da lì alterna sporadiche presenze a perenni e costanti infortuni. La notizia di un suo infortunio, ben presto, diventa all’ordine del giorno sotto la voce “notizie Arsenal”. La prestanza fisica molto potente lascia presto il posto a un gigante fragile, un colosso di oltre un metro e novanta frenato dalla maledizione del caso, che gioca a suo sfavore. Nel suo ruolo di mediano davanti alla difesa è protagonista della manovra difensiva e di quell’infinita serie di interventi e giocate pericolose che gli sono costate molto caro.

Un episodio rimasto celebre per la sua intensità lo ritroviamo nel 2007. Cardiff, finale di Coppa di Lega fra Chelsea e Arsenal: Diaby è coinvolto in uno scontro di gioco con John Terry, nell’area dei Gunners. Colpisce con il suo piede il capitano dei Blues sulla mascella, in maniera assolutamente involontaria. A testimonianza della durezza del suo calcio e dell’intensità delle sue giocate.

Elementi che lo rendono, in tutto e per tutto, l’erede di Vieira che tutti aspettavano, ma che mai è realmente arrivato. Nel 2013 si rompe addirittura il crociato e rimane fermo ai box per troppo tempo. Quando giochi in una squadra come l’Arsenal devi sudare e lottare per un posto da titolare, e nel momento in cui non sei a disposizione per così tanto tempo finisci nel dimenticatoio delle mancate promesse. Così è stato per lui.

TITOLI DI CODA

Nel 2015 arriva per lui l’ultima avventura. Il treno ha direzione Marsiglia, in un biglietto di sola andata. Dopo 9 anni e mezzo di Inghilterra ritorna nella sua Francia che lo rese grande.

Ma appena un anno dopo l’ennesima operazione nell’agosto 2016, dopo la sua ultima partita. Un nuovo intervento al ginocchio, un muro rivelatosi invalicabile per lui. Il Marsiglia ha cercato di aspettarlo, ma non ha più fatto ritorno nel rettangolo di gioco.

“Quando ho lasciato il Marsiglia mi sono dato un anno. È stato più complicato di quello che pensassi e sono arrivato a un punto in cui il fastidio mi accompagnava nella vita di tutti i giorni. Si aprirà un nuovo capitolo“.

Dieci, cento, mille tentativi di risorgere, di lottare, di reagire nel segno dei propri sogni. Ma per lui non c’è stato niente da fare. Più di dieci anni di lotta con sè stessi, costellati da ben 42 infortuni più o meno gravi. Tanti, troppi per chiunque, persino per il più grande dei guerrieri che Abou Diaby, fino alla fine della sua carriera, ha cercato di impersonare.