Cala il sipario dopo i primi applausi ricevuti da un mese a questa parte. Il pubblico già sapeva, lo si vedeva al San Paolo, lo si percepiva, tutto confermato implicitamente con l’abbraccio tra Callejon e Ancelotti. È stata una chiusura programmata che proprio nell’atto finale ha fatto sorgere qualche dubbio negli occhi di chi non ha osservato a fondo questo Napoli. È la scelta giusta? Probabilmente sì. Perché proprio adesso? Perché dopo non aver chiuso il rapporto subito dopo l’ammutinamento o dopo il pareggio con il Genoa, la data migliore è stata proprio quella di ieri dopo la chiusura del girone di Champions League. Sarebbe stato deleterio chiudere una settimana fa con troppi interrogativi e nessuna certezza, con un obiettivo fondamentale per le sorti del club ancora da raggiungere.
Esonerare un allenatore come Carlo Ancelotti non è mai semplice, questo spiega il ritardo nella decisione, ma prima o poi la dura regola del calcio che impone che il primo a pagare è sempre l’allenatore si presenta alla porta. Questo esonero però è un fallimento di tutti, nessuno escluso, perché mai come questa volta la situazione ha visto un concorso di colpe non indifferente.

Fonte: profilo Instagram del Napoli
SOCIETÀ
Aurelio De Laurentiis è il presidente più controverso del calcio italiano, non lo scopriamo oggi chiaramente, la sua gestione unipersonale della società che vede lui come figura al di sopra di tutti pone troppi ostacoli alla crescita del Napoli. Le sue volontà, la sua parola, sembra essere l’unica che detti legge a Castel Volturno, nonostante ci fosse al suo fianco un allenatore che ha alzato tutti i trofei possibili e che abbia avuto a che fare con presidenti forti ed imprevedibili. Il problema più grande tra i due, forse uno dei pochi, è stato il mercato, le scelte dei giocatori, anzi del giocatore: un diez. Quel numero dieci ha un nome e cognome che tutti sanno ma che pochi a Napoli sanno pronunciare davvero: James Rodriguez. Il colombiano era il sogno dell’ex Milan, forse per lui sarebbe stata la soluzione a tutti i mali tattici, il perno della squadra, la chiave di volta in ottica modulo. La volontà dell’allenatore e del suo pupillo c’erano, mancava quella del patron azzurro che voleva le sue condizioni, voleva prima visionarlo, avere una garanzia, una prova annuale prima di pensare poi ad investirci. Una scelta imprenditoriale ambivalente, positiva e negativa allo stesso tempo, il colombiano non è più una garanzia, men che meno economica per colpa della sua età che impedirebbe una futura plusvalenza. Ecco perché poi il Napoli ha puntato ancora di più su Lozano e ha perso per un pugno di milioni di commissioni Pepè. Riguardo l’ivoriano, al momento, ha avuto ragione De Laurentiis.
L’altro errore macroscopico del presidente azzurro è nella comunicazione. La mancanza assoluta di filtro è una lama a doppio taglio, distruttiva quando gli argomenti non sono felici. Il problema sta molto nella forma e nella tempistica dei discorsi. La logica imprenditoriale fredda e cinica insita nei discorsi aperti del presidente non ha una presa positiva davanti ad mondo irrazionale, passionale, che è quello della tifoseria. Le parole su Callejon e Mertens hanno destabilizzato i calciatori ed anche l’ambiente che subito si è schierato dalla parte dei calciatori andando ancora di più contro una proprietà che volontariamente o meno sta portando alla disaffezione del pubblico azzurro. Una comunicazione così fallace anche dopo l’ammutinamento ha ingigantito troppe cose, anche una dichiarazione “falsa”, volta a minimizzare l’accaduto avrebbe fatto meno danni del silenzio, avrebbe contenuto le illazioni e gli eventuali approfondimenti che hanno aperto al mondo lo spogliatoio azzurro. In una società calcistica i panni vanno lavati in famiglia come ha fatto Ancelotti per tutta la sua permanenza, aizzare il fuoco in una piazza come Napoli non ha mai portato ad esiti positivi.

Fonte: profilo instagram @mrancelotti
IL CONDANNATO
Partito con la pistola in mano, come 007, avrebbe dovuto agire con stile e scaltrezza, proprio come Bond. La sua esperienza, il suo pedigree, hanno però rischiato di mandare tutto in frantumi. Anche Ancelotti è diventato testardo, fermo su vari punti che alla lunga hanno rotto il giocattolo del Napoli. L’ex Real ha la fama di allenatore capace di adattarsi alle situazioni e come un campione mettere la sua mano per coprire i problemi di rosa. Il primo anno, quello sperimentale, è passato via con pochi intoppi grazie al grande gap con la Juve e soprattutto con le avversarie per il secondo posto. “Re Carlo” doveva tastare con mano la materia prima, visionare chi faceva al caso suo e chi invece doveva lasciare la barca azzurra. Quest’anno toccava osare ed Ancelotti era pronto a farlo, aveva idealizzato e preparato un Napoli da 4-2-3-1 con un dieci colombiano alle spalle della punta. Da Dimaro agli States, il mantra è sempre stato lo stesso. Il colombiano alla fine non arriva e in un nulla di fatto si ritorna al 4-4-2 tanto in contrasto con la qualità della rosa.

Fonte: profilo Twitter del Napoli
La differenza rispetto all’anno scorso sta nella continua assenza di Milik, determinante il più delle volte quando è in campo dal primo minuto, e nell’abbassamento di Insigne nei 4 di centrocampo. Un Napoli estremamente propositivo con 4 attaccanti che non conferiscono equilibrio alla squadra. Manca come l’anno scorso il vero regista, Allan subisce degli acciacchi fisici e gli altri 2 di centrocampo non brillano per continuità. Manca soprattutto il terzino sinistro con Ghoulam scomparso e Mario Rui perso per problemi fisici dopo un buonissimo avvio di stagione, così la catena di sinistra tanto importante nel Napoli si perde. L’acquisto più importante della storia azzurra viene posizionato in un ruolo tutto nuovo, all’improvviso Lozano si ritrova a dover giocare spalle alla porta, quasi come un centravanti boa, senza spazio dove correre e scappare al difensore. Il messicano si trova sempre lì e le sue prestazioni ne risentono come quelle di Insigne che oltre alle questioni tattiche ha problemi anche sotto l’aspetto comportamentale. Il rapporto con Ancelotti non è mai stato del tutto chiaro, una sorta di odio e amore, tra panchine inaspettate e abbracci risolutori. Il napoletano sente il peso della sua figura, la fascia di capitano lo soffoca ed il suo ruolo anche in campo non è adatto alle sue caratteristiche. Nonostante i risultati deludenti il cambio modulo non è mai arrivato, il ritorno al 4-3-3, più vicino alle caratteristiche della rosa, non è mai stato nei piani di Ancelotti che poi ha perso il volante della situazione alla vigilia di Napoli-Salisburgo.
Non ha mai visto di buon occhio le intromissioni dei presidenti nella gestione della rosa perciò l’imposizione del ritiro contro la sua volontà ha esposto Ancelotti al tracollo. Dichiarare al pubblico il disappunto sul ritiro ha dato man forte ai calciatori per mettere in atto la riproduzione in chiave moderna delle vicende del vascello Bounty. La situazione poi è diventata ingestibile anche per un uomo come lui, abbandonato sia dal suo equipaggio che dalla dirigenza, un uomo solo nel deserto di Castel Volturno.
GLI AMMUTINATI
Non è chiaro il rapporto tra la squadra ed il suo allenatore, il silenzio stampa come detto ha portato a conoscere tutto ed il contrario di tutto. Il saluto social freddo, quasi preimpostato, di molti elementi della squadra non fa pensare al meglio. Il rapporto tra la società e alcuni calciatori, i senatori è ancora peggio. Il capitano vive con un piede radicato nel manto del San Paolo e con l’altro lontano dal Vesuvio. La fascia, le critiche, il ruolo sono fattori incredibilmente destabilizzanti, il carattere non lo mostra come un leader maturo, di figure del genere in squadra ce ne sono ma non hanno il 24 stampato sulla maglia. Tra queste c’è sicuramente Allan, il membro più attivo della rivolta, che aspetta invano un rinnovo da Gennaio dopo aver perso l’opportunità di volare a Parigi. Callejon e Mertens vivono in aperto contrasto con la società ma nonostante tutto sono i primi a lottare per la maglia.
Nel limbo ci sono poi altri giocatori in attesa di un rinnovo che tarda ad arrivare come Zielinski e Milik mentre Fabian Ruiz è distratto dalle sirene che orbitano attorno a lui dall’Europeo U21. La lontananza dalla vetta ha poi servito il resto, gli stimoli sono caduti in campionato mentre in Champions la rosa rinasce, a tratti in verità, per continuare nella vetrina più importante del mondo. La voglia di tornare a giocare nei propri ruoli va a sbattere con la forte opposizione di chi dispone i giocatori in campo. La poca grinta c’è da dire però non è giustificabile perché in fin dei conti, prima di Ancelotti, hanno pagato i tifosi. L’ammutinamento non può trovare degli alibi, l’inadempienza contrattuale è limpida come quella nei confronti dei sostenitori. La mancanza di umiltà nell’accettare delle decisioni drastiche quando le cose vanno male e l’assenza di una vera reazione caratteriale successiva ha portato il Napoli ad autodistruggersi.

Fonte: profilo instagram @officialsscnapoli
Toccherà ora a Gattuso ricomporre i pezzi, ricucire i rapporti tra tutte le parti in causa, società, tifosi e calciatori, riportare soprattutto serenità all’ambiente dopo una tempesta troppo lunga. Se il compito sarà adatto ad un allenatore giovane come lui lo vedremo in questi sei mesi. Ripartire con la testa bassa, il lavoro, la grinta e soprattutto il 4-3-3 potrebbe essere un buon inizio. In bocca al lupo Rino.