Barzagli sicuro: “Il DNA esiste, più facile vedere il Milan in una finale europea rispetto alla Juventus!”

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“Un difensore che non ha bisogno di presentazioni”. Così Walter Weltroni introduce Andrea Barzagli, protagonista del secondo giorno della milano football week, la manifestazione organizzata da La Gazzetta dello Sport, con il patrocinio del Comune di Milano, in programma dal 12 al 14 maggio a Milano. Un evento unico dedicato allo sport più amato al mondo, che coinvolgerà tifosi e appassionati.

L’ex difensore della Juventus, è stato protagonista della seconda giornata dell’evento con l’incontro Barzagli: una storia bianconera”.

LE DICHIARAZIONI DI BARZAGLI

SULL’INFANZIA –  “Ho avuto una famiglia molto unita, con il mio babbo che faceva un lavoro tosto ma che ha sempre cercato di non farci mancare niente. Nella mia cameretta mi divertivo a praticare tutti gli sport: facevo un gran casino. Oggi rivedere quella stanza mi rievoca i piacevoli ricordi della mia infanzia. Nel calcio la mia prima divisa era quella della Cattolica Virtus, un ambiente familiare, indossata fino all’età di 17 anni”.

SULL’AVVIO DI CARRIERA –  “Ho iniziato nella Rondinella, squadra di Serie D. Vincemmo il campionato: da lì cambiò il senso della mia vita. Mi sono ritrovato in un campionato con gente grande. Nel calcio occorre essere fortunato, stare nel posto giusto e farsi trovare pronto. Nella Pistoiese, l’allenatore dell’epoca Pillon mi fece giocare difensore, quindi l’anno dopo sempre con Pillon all’Ascoli, dove vincemmo il campionato di Serie B per poi passare al Palermo. Per la prima volta mi ritrovai in una pizza calda della Serie A: al sud si vive di calcio e si respirava una grande atmosfera, che mi ha fatto arrivare in Nazionale giocando a livelli alti”.

SUGLI ALLENATORI – Paolo Indiani nella Rondinella, Pillon nella Pistoiese, ma quelli che mi hanno dato di più in una fase della mia carriera in cui pensavo di non crescere più sono stati Antonio Conte a livello tecnico e Felix Magath a livello caratteriale quando ho giocato nel Wolfsburg: mi insegnò a credere in quello che facevo, ad avere la mentalità giusta”.

SUL TRASFERIMENTO ALLA JUVENTUS – Non è scontato andare in una grande squadra. L’inaugurazione dello Juventus Stadium mi ha fatto vibrare dentro: ho visto tutta la storia della Juventus, oltre ad uno stadio innovativo ed un presidente rivoluzionario. Siamo cresciuti in quegli anni, erano pochi i giocatori affermati: da lì 9 anni di trofei e vittorie”.

SULLA BBBC – “C’è stato un incastro naturale, venuto da un’intuizione di Antonio Conte. Un’intesa unica, non ci siamo mai scontrati tra di noi, avevamo fiducia l’un l’altro. Era una bella unione. Lichtsteiner era tremendo sia da compagno che da avversario: tante volte litigavamo in allenamento, era uno che parlava direttamente. Anche lui ha sempre avuto una mentalità molto diligente, con l’ambizione di voler essere il numero uno. La sostanza dentro una squadra fa la differenza.”

SUL CONFRONTO TRA CONTE E ALLEGRI –  “Antonio Conte era un perfezionista dalla grande innovazione, ma a volte avrebbe dovuto allentare la tensione, spesso troppo alta. Max ha una dote spiccata nel vedere il momento di una squadra, nel saper cambiare, il suo difetto è che dovrebbe a volte creare la tensione in più che ad esempio Antonio metteva. La cosa che li accomuna è la mentalità vincente che entrambi hanno portato alla Juventus”.

SULLE FINALI DI CHAMPIONS – Abbiamo trovato le squadre più forti degli ultimi 30 anni, ricche di talento, come Barcellona e Real Madrid: ce la siamo comunque giocata, ma probabilmente con una doppia sfida avremmo potuto spuntarla. Le finali di Champions non capitano spesso, è stato tosto ricominciare. Non vincerne nemmeno una è stato il nostro rimpianto più grosso. Penso che esista un DNA in ogni squadra: è più facile che il Milan arrivi in finale, come è più probabile che la Juventus la spunti in Italia.”

SULL’ESPERIENZA IN NAZIONALE – La vittoria del Mondiale, una cosa assurda. Non ci ho capito niente per due mesi. Nel 2010, invece, eravamo un po’ scarichi, mentre nel 2014 ci è mancato peso nello spogliatoio. Quando ti manca qualcosa perdi, non c’è niente da fare. Il 2018 è stato un suicidio: abbiamo perso tutti fiducia sia noi sia l’allenatore, il quale ha mancato di inesperienza. Dopo la mancata qualificazione eravamo distrutti e volevamo mollare la Nazionale in molti, più per vergogna. Credo che quella squadra aveva ancora molto da dire.”

Fonte Immagine [comunicato stampa Milano Football Week]

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Scritto da

Simone Rippa