Si dice che la notte porti consiglio, e calcisticamente parlando questo è tremendamente vero. Per delucidazioni maggiori, si consiglia un tour, quantomeno virtuale, all’Estadio Norberto Tomaghello di Florencio Varela, cittadina meridionale della provincia di Buenos Aires, dove gioca il Defensa y Justicia. Un gruppo di ragazzi, perlopiù sconosciuti, si sta rivelando l’underdog del campionato argentino dando vita alla sensazione dell’anno: tanto possesso palla e pressing e una qualità di lavoro senza precedenti soprattutto in sudamerica.

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L’immeritata sconfitta di ieri notte contro il Boca (0-1) ha rotto l’imbattibilità che durava dall’inizio del campionato (20 partite senza sconfitte) e ha allontanato i gialloverdi dalla prima posizione del Racing, distante adesso solo tre punti. Ma è giusto, proprio in un momento tornante della stagione, rendere omaggio a quanto di buono si è visto sino ad ora.

STORIA

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Sarebbe bello raccontare la storia di un nome tanto imponente quanto particolare per una squadra di calcio, ma il bello è proprio che essa non esiste: ovvero, il Club Deportivo Defensa y Justicia nasce dalla volontà di alcuni ragazzi, nel 1935, di fondare un circolo dove poter giocare e discutere di calcio preparando l’asado del Sabato. Il nome fu scelto a votazione consensuale perché appariva il più intrigante tra quelli proposti. La squadra giunse in federazione solo poco prima degli anni ottanta, raggiungendo la prima storica promozione in Primera Division nel 2014. Le prime soddisfazioni sono arrivate con l’ultimo biennio: due qualificazioni in Copa Sudamericana, con una qualificazione storica al primo turno al Morumbì nel 2017 (1-1 contro il San Paolo) e con gli storici quarti di finale del 2018, dove il sogno fu spezzato dall’Atletico Junior.

IL FAUTORE

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L’artefice del miracolo di quest’anno possiede più precedenti di quanto si possa pensare: si tratta di Sebastian Beccacece, ex vice di Sampaoli per tutto l’arco della sua carriera, dai club in Perù sino a giungere alla nazionale argentina ed al disastro russo dell’ultimo mondiale, dove tra l’altro si è consumato il divorzio professionale tra i due a causa di conflitti interni e battibecchi con Messi.

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La filosofia sampaoliana di Beccacece è però ben evidente: il pressing con la quale le sue squadre aggrediscono l’avversario sono simili all’intensità vista a Siviglia o in Cile, mentre il possesso prolungato e la volontà di non gettare mai un pallone richiamerebbero di più i preconcetti del loco Bielsa, mentore e spesso predecessore dello stesso Sampaoli nei medesimi club. Altro aspetto comune con Sampaoli, un moto perpetuo e costante durante tutta la partita, dove anche il 38enne si diverte a consumare l’area tecnica ciondolando avanti ed indietro senza sosta. Si tratta comunque di un ritorno al club, perché Beccacece aveva già allenato il Defensa y Justicia nel 2016/2017, portando di fatto la squadra alla sua prima Sudamericana.

PALLA A TERRA

Nonostante un’apparente semplicità tattica, con due schemi intercambiabili, Beccacece ha trovato i calciatori complementari allo stile di gioco che vuole imprimere. 3-5-2, 3-4-3 o 4-3-3, l’identità è sempre quella di iniziare da dietro con dei triangoli che creino superiorità numerica e scavalchino la prima linea di pressing avversaria.

I centrali scambiano palla tra di loro mentre il centromediano metodista, Miranda, si libera per ricevere una palla pulita

Quando invece le marcature sono larghe e gli attaccanti possono arretrare per ricevere palla, è il difensore stesso a passare in profondità per velocizzare il gioco e poter creare spazi. Chiaramente, la qualità tecnica dei tre difensori centrali deve essere elevata.

Altra caratteristica fondamentale, la volontà di giocare sempre di prima, negli spazi stretti, a traverso dei rombi che creano superiorità in alcune zone del campo e velocità nell’uscita palla: nonostante la squadra sia priva di una vera e propria stella di riferimento, è l’organizzazione complessiva a giovarne perché l’attitudine è costante durante i novanta minuti. Un esempio:

Il centrale difensivo esce palla al piede e cerca il laterale destro. Il centrocampista può ricevere alla sua sinistra, mentre l’attaccante si avvicina per ricevere il passaggio tra le linee.

Il laterale scarica al centrocampista mentre l’attaccante si inserisce negli spazi vuoti.

Lo scarico è perfetto e l’attaccante può allargare il gioco dall’altra parte o cercare un passaggio tra le linee.

Se col centrocampo a cinque l’obiettivo principale è creare superiorità sulle fasce grazie alla sovrapposizione di diversi uomini, il Defensa y Justicia può giocare anche, come già affermato, con un 3-4-3 o 4-3-3, dove l’obiettivo è quello di far girare palla velocemente per “isolare” i laterali e permettergli di scegliere tra cross teso o passaggio in profontità.

Il terzo centrale difensivo si butta dentro palla al piede e due uomini si liberao per ricevere palla

Il centrocampista riceve palla, ma è marcato, bisogna quindi tornare indietro e ricominciare

Il centrocampista arretra ancora

Il gioco viene allargato perfettamente

Il laterale riceve palla e ha varie scelte: crossare direttamente, proporre in profondità all’attaccante, che è bravo nel liberarsi, o ricominciare l’azione

Il laterale torna indietro dal difensore

Con il nuovo scarico sul laterale, la difesa avversaria è letteralmente “sfiancata” ed il campo si apre di fronte al Defensa y Justicia.

Il cross finalmente arriva

L’attaccante è bravo a liberarsi in mezzo a due attirando gli altri avversari attorno a sé. Pecca d’ingenuità e va al tiro, col compagno tutto solo al suo fianco.

Da notare quindi la ricerca estenuante dell’azione perfetta per entrare in area. Visivamente, il gioco dei gialloverdi è gradevole, ma può risultare sfiancante, ideale e inutile in alcuni frangenti. Contro il Boca per esempio, la sconfitta è arrivata per un tiro sbilenco di Tevez che ha ingannato il portiere 23enne Unsain, vanificando tutto il lavoro svolto sino a quel momento.

PRESSING ASFISSIANTE

Giocando in questa maniera, la perdita del pallone può essere all’ordine del giorno: è per questo che gli uomini di Beccacece sanno come andare a coprire palla una volta perso il possesso.

Colpisce la capacità asfissiante appena l’avversario tocca palla

GIOCATORI DA TENERE D’OCCHIO

Tra i talentini di Florencio Varela, da notare:

  • Alexander Barboza (1995) – difensore centrale: ex River, il 23enne unisce centimetri (193) a qualità palla al piede. Mancino naturale, si rivela un profilo polivalente per chi ama iniziare da dietro il proprio gioco.
  • Lisandro Martinez (1998) – difensore centrale/laterale sinistro: meno centimetri del compagno di reparto, ma tanta qualità ed esplosività. In più, l’età è dalla sua (20 anni).
  • Leonel Miranda (1994) – il vero diez della squadra: centromediano metodista nel 3-5-2 o nel 3-4-3, nasce come trequartista ma ha saputo arretrarsi grazie alle sue qualità d’impostazione. È il vero faro della squadra, il “pulitore” di palloni ufficiale.
  • Ignacio Aliseda (2000) – 18 primavere alle spalle e tantissime belle speranze. Sa giocare con entrambi i piedi, è piccoletto e rapido di pensiero ed è un titolare inamovibile in un campionato così aggressivo, a vederlo potrebbe ricordare il primo Papu Gomez, con una punta di lateralità in più. Qualcosa in più di una speranza.

 

IN CONCLUSIONE

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Il gioco arzigogolato e barocco di Beccacece è stupefacente soprattutto per i mezzi a disposizione: in Argentina, solo le grandi provano ad avviare un discorso simile attorno al possesso palla ed al pressing asfissiante, ma dopo ventuno partite la squadra è a soli tre punti dalla prima in classifica ed ha perso una sola partita. Ambire alla bellezza non fine a sé stessa è possibile, in qualsiasi parte del mondo e con qualsiasi rosa a disposizione.

LorenzoL
Scritto da

Lorenzo Masi