QUESTA È FA – FOOTBALL ADDICTED, LA RUBRICA D’APPROFONDIMENTO TARGATA NUMERO DIEZ DEDICATA ESCLUSIVAMENTE AL CALCIO D’OLTREMANICA. OGNI SETTIMANA, AL MERCOLEDÌ, VI RACCONTEREMO UNA STORIA D’ATTUALITÀ O DEL PASSATO, CONDIVIDENDO CON VOI LA NOSTRA PASSIONE PER IL FOOTBALL MADE IN UK! OGGI CELEBRIAMO SCOTT BROWN, LEGGENDA DEL CALCIO SCOZZESE CHE NEI GIORNI SCORSI HA ANNUNCIATO IL SUO RITIRO.

Se vi chiedessimo di pensare alla Scozia e a chi più di tutti ha rappresentato questa affascinante Nazione nel mondo del calcio nel corso della sua storia, quasi sicuramente dalla vostra bocca uscirà il nome di qualche icona del passato.

C’è chi farà quello dello straordinario Kenny Dalglish. Chi quello dell’indimenticato Denis Law, unico scozzese capace di vincere un Pallone d’Oro (nel 1964, ndr). C’è chi penserà a managers leggendari come Sir Matt Busby, Bill Shankly, Jock Stein e Sir Alex Ferguson.

Tutte figure di un romantico football d’altri tempi, entrate ormai nell’immaginario collettivo.

Se però vi chiedessimo di circoscrivere la vostra ricerca agli ultimi vent’anni, il nome che molti di voi pronuncerebbero sarebbe con ogni probabilità quello di Scott Brown.

Colui che più di tutti ha rappresentato in campo il calcio scozzese dall’inizio del nuovo millennio.

Scott Brown può essere ritenuto, infatti, a tutti gli effetti, una leggenda moderna ed è per questo che, a poche ore dall’annuncio ufficiale del suo ritiro, abbiamo deciso di dedicare a lui questa nuova puntata di “FA – Football Addicted”.

BYE BYE

“Dopo 20 anni, quasi 800 presenze a livello di club, 55 presenze per il mio Paese, 10 campionati vinti, 6 Coppa di Scozia e 7 Coppa di Lega, è con il cuore in mano che appendo i miei scarpini al chiodo”.

Con una nota pubblicata sui propri profili social, come ormai accade sempre più di frequente, Scott Brown ha annunciato al Mondo la sua decisione di chiudere la propria carriera da calciatore lo scorso 7 maggio.

Una scelta presa dopo aver riflettuto a lungo e dopo aver deciso di dedicarsi anima e corpo al suo nuovo obiettivo: quello di diventare un allenatore.

Scott Brown è fatto così. Non ama le mezze misure. Quando si butta in un progetto, finisce con l’impiegare ogni sua risorsa. Ogni fibra della sua carne. Ogni suo pensiero.

Senza lasciarsi distrarre troppo dal resto e il calcio giocato per lui ormai era diventato proprio quello. Il resto.


È così che, a 36 anni, il giocatore scozzese più iconico del ventunesimo secolo ha detto basta. Mi fermo. Ringraziando chi, nel corso di una carriera che ha fatto spesso discutere, non lo ha mai fatto sentire solo.

“Quando ho iniziato a giocare, non  avrei mai sognato di raggiungere tutto quello che ho raggiunto: 23 trofei e la fascia da capitano per il mio club e per la mia Nazionale. Grazie a tutti i tifosi che mi hanno sostenuto dagli spalti. Come qualcuno ha detto una volta, il calcio senza tifosi non è nulla e sono stato orgoglioso di rappresentarvi in campo”.

UN PALMARES DA LEGGENDA

787 presenze tra Hibernian, Celtic e Aberdeen. 23 trofei vinti in 19 anni di carriera, conquistando la bellezza di quattro Treble consecutivi con gli Hoops. 55 presenze con la Scozia.

Con le 10 Scottish Premiership, le 7 Scottish League Cup e le 6 Scottish Cup messe in bacheca, Scott Brown può vantare uno dei palmares più ricchi tra chi ha calcato per l’intera carriera i campi della Scozia. Un palmares da vera leggenda. Sebbene lui stesso non ami considerarsi tale.

Il primo trofeo l’ha alzato con la maglia dell’Hibernian, il club che lo ha cresciuto.

Nelle giovanili degli Hibs si è formato tra il 1999 e il 2003, rappresentando poi il club di Edimburgo in prima squadra per altri quattro anni.

Lì, nel club della capitale, ha conquistato la sua prima Coppa di Lega, aiutando l’Hibernian a tornare a vincere un trofeo dopo 16 anni di digiuno (vittoria contro il Kilmarnock per 5-1, ndr), prima di trasferirsi al Celtic per 4,4 milioni di sterline.

Una cifra record per quanto riguarda il trasferimento di un giocatore da un club scozzese all’altro.

Soldi ben spesi.

Negli Hoops è rimasto infatti per 14 anni, diventando anche lo storico capitano della squadra in una delle fasi più gloriose della vita di questo club leggendario.

Nel 2021 ha deciso però di chiudere la sua esperienza in quel di Glasgow, firmando con l’Aberdeen, catturato dalla proposta di poter svolgere il doppio ruolo di giocatore e assistente allenatore.

Un’idea decisamente allettante per chi come lui in quel momento aveva intenzione di intraprendere il primo passa sulla strada di una nuova carriera sportiva.

A convincerlo fu l’allora manager dei Dons, Stephen Glass, suo vecchio compagno di squadra ai tempi dell’Hibernian.

Le cose, in questo caso, non sono però andate come previsto.

Firmato un contratto di due anni, con il doppio ruolo di giocatore e assistente allenatore, Brown ha chiuso anzitempo la sua avventura all’Aberdeen lo scorso marzo, dopo che il suo amico Glass fu esonerato e rimpiazzato da Jim Goodwin.

“Ho parlato con il club e, dopo quanto accaduto, mi è stato detto che non esiste più la possibilità per me di svolgere il doppio ruolo che ho svolto fin ora qui”.

Ne è seguito un periodo di pausa, tanto tempo libero trascorso con la propria famiglia e qualche partita di golf (una delle sue passioni, ndr).

Fino all’altro giorno, quando la decisione di appendere gli scarpini di calciatore al chiodo è diventata ufficiale.

TITOLI PERSONALI

Oltre alle decine di trofei di squadra, Brown in questi anni è riuscito a conquistarsi anche diversi titoli personali.

È stato inserito per ben sei volte nel PFA Scotland Team of the Year.

Ha vinto l’SFWA Young Player of the Year nella stagione 2006/07.

È stato eletto PFA Scotland Players’ Player of the Year in due occasioni diverse: nel 2008/09 e nel 2017/18.

Anno in cui ha ricevuto anche il premio come SFWA Footballer of the Year.

È stato inserito nella Scotland National Football Team roll of honour nel 2016.

È diventato il primo calciatore a vincere il premio di Giocatore dell’Anno in Scozia senza aver neppure segnato un goal nel corso della stagione fino al momento della nomina. Un evento che non si verificava dal 1993, quando il portiere dei Rangers, Andy Goram, si conquistò questo onore.

ANIMA SCOZZESE

Nato il 25 giugno 1985 a Dunfermline, l’antica capitale del Regno di Scozia, Scott Brown ha indossato la maglia della Tartan Army per 13 anni.

La prima volta fu il 12 novembre del 2005, quando a vent’anni debuttò in un’amichevole pareggiata per 1-1 contro gli Stati Uniti d’America.

L’ultima apparizione con la divisa scozzese risale invece al 4 settembre 2017, nella vittoria per 2-0 contro Malta in un match valido per le qualificazioni alla Coppa del Mondo 2018.

Nel mezzo, tanti ricordi indelebili.

A partire dal secondo posto ottenuto nel 2011 nella Nations Cup, torneo che prevedeva la partecipazione di Scozia, Galles, Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda (a vincere fu l’Eire, allora allenata da Giovanni Trapattoni, ndr).

Nel febbraio del 2013 Brown indossò invece per la prima volta la fascia da capitano, nel successo per 1-0 sull’Estonia al Pittodrie Stadium di Aberdeen, nella gara di debutto di Gordon Strachan come CT della Scozia. Una fascia che in Nazionale Brown indosserà poi per altre 20 volte.

Nel 2016 annunciò il proprio addio alla Scozia, salvo poi tornare a giocare altre cinque partite su richiesta proprio di Strachan, convinto che Brown avrebbe potuto aiutare senza dubbio la Tartan Army a qualificarsi per il Mondiale di Russia 2018. Una qualificazione che però non arrivò.

CUORE CELTIC

Pronunciate il nome Scott Brown e vi verrà subito in mente il Celtic.

Brown e gli Hoops sono infatti un tutt’uno. Come il sugo e gli spaghetti.

Con i verde-bianco cerchiati di Glasgow il centrocampista scozzese ha collezionato 620 presenze, la maggior parte da capitano, segnando anche 50 goals. Ha vinto tutto quello che poteva vincere in ambito nazionale e si è tolto anche qualche soddisfazione sui campi europei.

L’8 agosto del 2018 in un Celtic-AEK Atene, valido per i preliminari di Champions League, diventò, per esempio, il primo calciatore scozzese a raggiungere quota 100 partite internazionali in competizioni europee.

Un record. Con la scalata iniziata tanti anni prima, quando nel 2004 scese in campo con l’Hibernian in una gara di Coppa Intertoto contro i lituani del Vetra.

Delle notti europee a Celtic Park, Brown ricorda poi con piacere quella in cui i suoi Hoops ebbero la meglio per 2-1 del Milan, fresco campione della Champions League qualche mese prima.

Così come anche le sfide contro il Barcellona e Andres Iniesta, colui che ancora oggi considera l’avversario più forte mai affrontato in carriera.

Sfide che Broony, come è soprannominato il guerriero scozzese, ricorda anche per altri motivi.

“Non sono mai stato uno di quei giocatori che corre a chiedere la maglia agli altri. Fa parte della mia mentalità. Ho giocato contro grandissimi campioni e non ho mai chiesto la maglia a nessuno, anche se a volte avrei voluto. Finché qualcuno non veniva a chiederla a me, non andavo di certo io da loro. Non ho mai visto Messi correre nel tunnel e rincorrermi per chiedermi la mia maglietta”.

Parole che Brown usò per spiegare la sua arrabbiatura nel vedere i compagni di squadra rincorrere Lionel Messi nell’intervallo di un Celtic-Barcellona per chiedere la maglia della Pulga, nonostante i catalani avessero appena inflitto due goals agli scozzesi.

Questione d’orgoglio. E di cuore.

Quello che Scott ha sempre messo in campo. Soprattutto quando difronte a sé vedeva i colori degli eterni rivali dei Rangers.

OLD FIRM DA K.O.

Alto poco più di un metro e settanta e con un peso di circa settanta chilogrammi, Scott Brown è sempre stato classificato come uno dei centrocampisti più ruvidi del calcio scozzese.

Dotato di un fisico possente, sebbene limitato nelle dimensioni, lo storico numero 8 del Celtic non si è mai posto il problema di dover “tirare indietro la gamba”, come si suole dire.

Aggressivo. Sanguigno. Trascinante. Un Gattuso d’oltremanica.

Di Scott Brown si ricordano i tanti Old Firm giocati con il coraggio di chi ogni volta era pronto a gettarsi in una vera e propria battaglia.

L’esatto uomo che vorresti al tuo fianco in uno scontro senza esclusione di colpi.

Di Old Firm ne ha giocati 44, ottenendo il 51% delle vittorie, e delle sue sfide contro i Rangers si ricordano tanti episodi.

La lite con Joey Barton nel 2016. Il pugno ricevuto da Ryan Kent nel 2017. L’esultanza a braccia aperte davanti alla faccia di El-Hadji Diouf, dopo aver segnato un goal nel 2011.

Scatti indelebili all’interno di un ricco album di fotografie, per quello che è forse stato il calciatore scozzese più discusso e chiacchierato degli ultimi vent’anni.

DURO DENTRO, SENSIBILE FUORI

Duro come la roccia dentro al campo, molto sensibile una volta svestita la maglia e tolta la corazza.

Scott Brown è dipinto da molti come una delle persone più simpatiche, umili e umane fuori dal rettangolo di gioco.

Alle centinaia di insulti rivolti alla sorella, prematuramente scomparsa a soli 21 anni nel 2008 a causa di un tumore alla pelle, ha sempre risposto con durezza e sensibilità allo stesso tempo, condannando gli idioti che si erano rivolti a lui con insulti così disumani e sottolineando il comportamento di quelli che gli avevano mostrato invece supporto e comprensione.

Si è schierato al fianco di Glen Kamara, dopo che il giocatore dei Rangers era stato vittima di razzismo da parte di Ondrej Kudela in una gara di Europa League giocata contro lo Slavia Praga.

Non ha mai fatto mancare il proprio supporto alle cause giuste, dimostrandosi un leader anche fuori dal campo.

CAPTAIN. LEADER. LEGEND.

La sua ultima partita da calciatore Brown l’ha dunque giocata con l’Aberdeen, con cui quest’anno ha collezionato 33 presenze totali.

L’addio più emozionante l’ha vissuto però un anno fa, quando si è congedato dal Celtic. In uno stadio vuoto, con però parecchi cartelloni recitanti le parole Captain. Leader. Legend.

Causa la pandemia di Covid-19, gli Hoops non hanno potuto salutare il proprio capitano come avrebbero voluto.

Spalti senza tifosi. Nessun titolo tra le mani.

L’ultimo anno di Broony a Glasgow non lo ha infatti visto vincere nemmeno un trofeo, con la squadra di Neil Lennon crollata sotto i colpi dei Rangers di Steven Gerrard, tornati proprio in quell’occasione sul trono di Scozia.

Poco male. Non importa.

Brown alla fine di alti e bassi al Celtic ne ha vissuti diversi nel corso della sua carriera.

Come quando nel 2010 fu praticamente messo alla porta dall’allora allenatore degli Hoops, Tony Mowbray, che lo invitò a cercarsi una nuova squadra nel mercato di gennaio.

Uno shock per Scott, che ci mise un po’ di tempo prima di scegliere se accettare o declinare le offerte provenienti dal Newcastle United e dal Tottenham Hotspur di Harry Redknapp.

Alla fine, restò, Mowbray fu esonerato di lì a pochi mesi e Brown iniziò a vivere la pagina calcisticamente più bella della propria carriera.

Quella che lo avrebbe portato a vincere nove campionati scozzesi consecutivi, decine di coppe e quattro indimenticabili Treble consecutivi tra il 2016 e il 2020.

Il più bello quello del 2017, quando alla prima stagione con Brendan Rodgers in panchina, il Celtic conquistò tutto, senza mai perdere.

Vittoria della Scottish Premiership davanti all’Aberdeen e finali di Scottish Cup e Scottish League Cup entrambe vinte sempre contro i Dons.

43 vittorie, 4 pareggi, 0 sconfitte. Un’annata da Invincibles, come dicono da quelle parti. Con Scott Brown capitano.

E pensare che solo pochi mesi prima sembrava deciso a smettere.

RINASCITA

Condizionato da diversi infortuni avuti in carriera a ginocchia e caviglie e depresso dopo annate incolori sotto la guida tecnica di Ronny Deila, Scott Brown nel 2016 era pronto a dire basta. A lasciare tutto e ritirarsi.

A fargli cambiare idea furono però due persone. I due allenatori che Broony considera i più importanti della sua carriera: Gordon Strachan e Brendan Rodgers.

A dargli la prima scossa con un discorso motivazionale, da padre a figlio, fu il CT scozzese.

A rimetterlo definitivamente in carreggiata fu poi il manager nordirlandese.

L’arrivo di Rodgers sulla panchina del Celtic quell’anno cambiò infatti il destino di Brown, conducendolo a una vera e propria rinascita.

Il capitano fu rimesso al centro del progetto dall’attuale tecnico del Leicester City, il quale gli spiegò fin da subito come la sua presenza fosse indispensabile per la squadra.

Una fiducia incondizionata e che ha portato a grandi risultati, con Brown restato poi il pilastro del club anche dopo l’addio di Rodgers e il ritorno di un’altra leggenda del Celtic come Neil Lennon in panchina.

FUTURO DA MANAGER

Oltre che ad avergli fatto vivere una seconda giovinezza in campo, Brendan Rodgers è anche il tecnico che più di tutti ha instillato in Brown l’idea di poter diventare un allenatore.

Non è un caso che l’ex centrocampista a casa sua possieda tutte le sessioni d’allenamento tenute dal nordirlandese al Celtic, trascritte con cura in alcuni quaderni. Come da lui stesso dichiarato al Daily Records.

Così come non è un caso che il suo nome sia già stato accostato a un possibile ruolo di assistente di Rodgers al Leicester.

Sempre secondo il Daily Records, in alternativa, Brown potrebbe riunirsi a un altro suo ex allenatore, come Neil Lennon, attualmente all’Omonia Nicosia, a Cipro.

Avvicinato anche al Fleetwood Town, club di League One inglese, e agli scozzesi del St. Mirren, è più probabile però che il suo primo ruolo da allenatore Brown finisca a svolgerlo al Raith Rovers, società attualmente in Championship scozzese e alla quale pare vicino.