Il calcio, sin dalla sua nascita, si impone, in ogni angolo d’Europa ma non solo, come sport estremamente popolare. Un elemento di novità così popolare, non poteva certo restare immune alle divisioni sociali della sua epoca. Sin dai primissimi anni legati alla sua nascita e diffusione, il football si è immediatamente “politicizzato”, per quanto oggi si cerchi di ignorare questo fatto. Si formano, per esempio, nel Regno Unito le squadre dei lavoratori, i works teams. I minatori-operai di Barnsley ed i pescatori di Grimsby, per esempio.
Nel blocco sovietico nascono, tra le altre, le Lokomotiv Mosca e Sofia. Poi anche Souchax, Terni e Wolsfburg, per citarne altre sparse per il vecchio continente. Lo stesso Genoa, prima squadra italiana, nasce grazie ai portuali inglesi. Non passa molto, però, prima che le classi dirigenziali dei vari stati si rendano conto dello straordinario potenziale del nuovo sport. In breve tempo, lo spirito di aggregazione legato al fut-balùn diventa uno strumento propagandistico essenziale, una delle tante tessere che compongono il piano di controllo del potere centrale sulla popolazione. Un lungo e triste connubio, quello tra il calcio e i regimi totalitari di ogni tipo. Da un lato all’altro del globo, che si trascina dagli anni ’20 ai giorni nostri.
VINCERE O MORIRE
Primo, lampante, esempio di questa malsana strumentalizzazione dello sport è certamente l’Italia del periodo fascista. Benito Mussolini, una volta preso il potere, si rende immediatamente conto dell’apporto popolare che può derivare dal calcio al suo movimento ultra nazionalista. Vengono promosse le prime riforme strutturali, attraverso la carta di Viareggio si spiana la strada verso il professionismo, riconoscendo ai calciatori lo status di “non-amatori“. I gerarchi si rendono poi direttamente protagonisti, come avvenuto nello “scudetto delle pistole” vinto dal Bologna nel ’25.
L’organizzazione del mondiale 1934 è, negli occhi del Duce, l’occasione perfetta per dimostrare al mondo i progressi del regime. I nuovi stadi ed impianti fanno da cornice ad uno spettacolo tanto inquietante ed indegno, tanto presentato in pompa magna al resto del mondo. L’Italia presentava da sé fuoriclasse come Orsi, Schiavo, Meazza e Demaria. In panchina, il mitico Vittorio Pozzo. La qualità eccezionale della compagine azzurra ci mette ovviamente del suo, il controllo di Mussolini su ogni minimo dettaglio della competizione fa il resto. Tra le polemiche e gli enormi festeggiamenti, l’Italia conquista contro la Cecoslovacchia quella che sarà ribattezzata (in malo modo) la “vittoria di regime”.

Mondiali Italia Mussolini
Vittoria, che arriverà anche a Berlino nelle Olimpiadi del ’36 e in Francia nel ’38. Proprio nei mondiali d’Oltralpe, il clima era più teso che mai. Dopo la guerra d’Etiopia e, soprattutto, l’intervento italo-tedesco nella guerra civile spagnola, in Francia gli azzurri vennero accolti da pesanti proteste anti-fasciste. In tutta risposta, il Duce ordinò di giocare con la “Camicia Nera” alla Nazionale, in occasione della partita contro la Francia. Il fondo raggiunto con questo episodio, sarà raschiato ancor di più dal telegramma inviato prima della finale con l’Ungheria agli uomini di Pozzo. Vincere o morire, il motto per antonomasia del regime. Il 4-2 finale salva gli italiani dalle ritorsioni del primo ministro. Contribuisce all’intenzione fascista di promulgare nel mondo l’immagine di un’Italia caput mundi. Immagine che sarà, di lì a poco, completamente distrutta dalla realtà, dopo la catastrofica campagna bellica.
NON PUOI TROVARE SQUADRA MIGLIORE DELLA KRASNAJA PRESNJA!
Passando da un estremo all’altro, il calcio fu poi al centro della strategia di gestione dello sport della vecchia Unione Sovietica. Così come in più o meno tutte le altre discipline, anche il pallone subì la fortissima influenza della sfera di potere dell’URSS. Sia a livello nazionale, che, soprattutto, internazionale. Negli anni della guerra fredda, il più popolare sport al mondo è uno strumento propagandistico essenziale. La rappresentativa dell’Unione infatti arriva a raggiungere le vittorie delle olimpiadi di Melbourne nel ’56 e soprattutto dell’Europeo nel ’60. Il trionfo fu totale, da squadra ospitante, guidato dal leggendario Lev Yashin e deciso solo all’ultimo respiro dalla rete di Ponedelnik, nel “derby” socialista contro la Jugoslavia del maresciallo Tito.
Sel. de la URSS:
Euro: Campeón (1960). Subcampeón (1964, 1972 y 1988). Semifinal (1968). Disputó 5 de 8, y eso que hasta 1976 solo clasificaban 4 a la fase final.
Mundial: 4° puesto (1966). Cuartos de Final (1958, 1962, 1970). Estuvo en 7 de 14. Solo una vez no pasó de grupos pic.twitter.com/SrvIIiu1Cr
— Juan Pablo Gatti (@GattiJuan) June 12, 2021
Trionfo, che consolida l’immagine dell’Unione, già fortemente ammirata in Italia, ma non solo, e funge da abile strumento per la politica del segretario Kruscev. La Nazionale poi, pur confermandosi ai vertici del calcio mondiale, non pareggerà mai l’apoteosi europea. Ma, rappresentativa a parte, lo specchio del potere ad est della Cortina di Ferro è la Vissja Liga, la prima divisione. Potere, rappresentato dalle sigle delle squadre russe. Lokomotiv, Dinamo, CSKA. Una nomenclatura tutt’altro che casuale. Come già accennato, la Lokomotiv Mosca era la squadra delle aziende ferroviarie statali, formata dai migliori giocatori dei KOR, i lavoratori ferroviari.
La Dinamo, è squadra del KGB, e il CSKA dell’esercito. Un caso eccezionale, in questo contesto, è sicuramente quello dello Spartak di Mosca. Squadra popolare del quartiere della Krasnaja Presjna, dov’è collocata la sede della presidenza russa e dov’era situato il Soviet Supremo moscovita, creato dal sindacato operaio rappresentava un baluardo della “resistenza” sovietica al controllo superiore. La compagine dei fratelli Starostin, diventa in breve tempo la più amata di Russia. Non a caso, il nome deriva da Spartaco, schiavo ribelle dell’Antica Roma, simbolo della lotta all’oppressore. A rivoluzionare completamente il calcio nell’Unione, poi, negli anni ’70, arriva una squadra “periferica”, da una terra martoriata da Stalin ed ancora oggi in lotta per la sua sopravvivenza. La Dinamo Kiev di Lobanovski, rende infatti la città dei bianco-blu la capitale sovietica del pallone, fino alla dissoluzione dell’URSS nel 1991.
IL CALCIO DI KADYROV
Dalle ceneri dell’Impero Russo, nel ’91 nasce lo stato de facto della Repubblica Cecena. La piccola entità indipendente del Caucaso, capeggiata prima dal Generale Dudaev prima e da Maschadov poi, dà guerra alla Federazione Russa quasi ininterrottamente per vent’anni. A spezzare le redini ai ribelli e permettere la fine del conflitto è il tradimento di Akhmat Kadirov, che diventa presidente grazie all’accordo con Vladimir Putin. Qui, inizia il fortissimo e perverso legame che lega il calcio alla polveriera caucasica. Kadirov senior, grande appassionato, muore nel 2004 in un attentato dinamitardo nella tribuna dello stadio Sultan Bilimchanov. In sua memoria, il figlio e nuovo despota della Cecenia Ramzan Kadyrov rinomina la squadra di Groznij, la capitale, della quale è presidente onorario, da “Terek” ad “Akhmat“.
“Lo Stalin del 2000″ da subito utilizza il pallone per estendere il suo consenso alla popolazione, ancora estremamente scettica riluttante nei confronti dei Kadyrovtsy. Così ecco che per inaugurare il nuovo impianto di Groznij viene organizzata la partita tra “Team Caucaso” e “Team World“. Da una parte la squadra del presidente, dall’altra una rappresentativa che vanta Bobo Vieri, Baresi, Figo, Zamorano e Diego Maradona, pagato 1 milione di euro per la presenza. Finisce 5-2, con 2 assist del presidentissimo. Al centro di una polemica con gli attivisti per i diritti umani, nel 2011 finì anche Ruud Gullit.
L’olandese infatti venne ingaggiato personalmente da Kadyrov per allenare l’Akhmat, in prima divisione, per circa 3 milioni di euro l’anno. La polemica scatenata per l’arrivo, in uno stato-canaglia governato da corruzione e violenza, accusato di torture e repressioni di ogni tipo, di un giocatore che seppe in carriera farsi bandiera di numerose cause onorevoli, dura però solo 6 mesi.
A gennaio infatti Gullit è esonerato per “cattiva condotta” con il misero bottino di 3 vittorie in 13 partite, ma senza rimpianti personali. A pentirsi di un’apparizione nell’ex Ichkeria, è stato invece Cafù. In seguito all’amichevole Cecenia-Brasile (pagato ben 8 milioni di euro), il terzino dichiarò: "È stato un evento di carattere politico e populista. Mi sentivo a disagio durante tutta la gara. Volevo nascondermi da me stesso". L’Akhmat, per la cronaca, ora è ottavo in campionato, salvo ma fuori dai giochi europei.