Il grigio e burrascoso cielo di Birmingham non spaventa gli operai indaffarati. Nella Brum city le gocce di pioggia scaturite dalle nuvole non sono lacrime metaforiche bensì copioso sudore di abitanti e cittadini che ai regolari dieci comandamenti ne hanno aggiunto un undicesimo: il duro lavoro paga. Chi è figlio di Birmingham, qualunque sia il suo impiego, sa che dovrà lottare tanto e lamentarsi poco per raggiungere i propri traguardi così come insegna la rivoluzione industriale, il vero big ben che ha edificato la città più importante delle West Midlands. Il vanto di queste zone è riassumibile in due parole come Land Rover e Jaguar, marchi facenti parte dell’olimpo automobilistico frutto di mani sporche di lavoro e menti limpide.
Dietro le tute da fabbrica di ragazzi unti di grasso e liquido dei freni si nasconde la genialità di un prodotto diventato sinonimo di eleganza e concretezza. Dietro la falsa apparenza di un lavoro comune e umile, si cela la teoria e la pratica di persone votate al sacrificio. Uomini come Starley (fondatore della Rover), ragazzi come Jack Grealish. L’operosità come mantra di vita, per i figli della Brum City, è una sorta di tratto distintivo come la maniacale e universale organizzazione per i tedeschi. Jack, da buon ragazzo di Birmingham educato a Solihull, in questo senso non è da meno.
Grealish, restando nelle Midlands e nel mondo delle automobili, è la perfetta rappresentazione di una Land Rover calcistica: elegante e raffinato nello stile di gioco quanto concreto e grintoso in zona goal. Ha la potenza e la forza di un ragazzo ancora nel fiore della gioventù quanto l’umiltà di lottare e soffrire per raggiungere i propri traguardi. Dietro l’apparenza di un concorrente di Geordie Shore con l’addominale scolpito e il ciuffo curato, si cela un ragazzo segnato dal dolore con un cuore completamente Claret and Blue.
50% SUPERSTIZIONE + 50% CORAGGIO
La storia di Jack Grealish è una pillola di vita, quella vera e indigesta di un ragazzo che dai 6 anni è stato dipinto come la luce in fondo al tunnel di una famiglia imprigionata nel buio della sfortuna. Non cresce in una realtà disastrata ma le prove che incontra durante il suo cammino, la morte del fratello Keevan e la paralisi cerebrale della sorella Hollie, sono peripezie degne del Manzoni nei Promessi Sposi. Affrontare metaforici pugili della vita come questi non è facile se non si è dotati di un istintivo spirito di combattimento. Jack possiede naturalmente questa dote ma la perfeziona sui campi di gioco del calcio gaelico, una crasi tra rugby e football che insegna a subire e rispettare l’avversario.
Divide la sua infanzia con il pallone in mano e tra i piedi ottenendo, in entrambe le discipline, ottimi risultati. La viscerale passione della famiglia per l’Aston Villa, tuttavia, centralizza il suo amore per il calcio. I biglietti della partita comprati da papà Kevin ad ogni compleanno, l’orgoglio di un bisnonno ex giocatore dei Villans come Bill Garraty e la devozione per una cattedrale come Villa Park hanno contribuito ad aggiungere al naturale colore bordeaux del sangue di Grealish, un’iconica nota di celeste. In una letterina a Natale all’età di 5 anni aveva chiesto come regalo di entrare a far parte dell’Academy dei Villans, un anno dopo Babbo Natale e il suo talento esaudiscono il suo desiderio. In un mondo di ragazzini che volevano essere Henry o Giggs, Grealish voleva essere Paul Merson, eclettico centrocampista in forza ai Villans che alla fine di ogni allenamento Jack e il cugino Sean aspettavano fuori dal centro sportivo.
Classe ’95, facente parte di diritto della nuova generazione del pallone, Jack è sempre stato ancorato ad un calcio vintage e superstizioso. Dopo aver guardato quasi per caso uno speciale di Sky Sports Uk su George Best rimane impressionato dalla capacità di dribbling del quinto Beatles e decide di imitarlo: esce in giardino, prende qualche bidone, alcuni vasi e li posiziona a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro. Il suo obiettivo? Dribblarli e ri-dribblarli. Si allena, impara la tecnica e la porta sui campi di gioco come ben visibile nel suo primo gol con la maglia del Notts County dove dribbla tre difensori e posiziona la palla in rete.
Che cos’altro ruba a Georgie? L’iconico stile nel tenere i calzettoni a metà polpaccio, un hybris di spregiudicatezza e arroganza malvista non dagli dei ma dai difensori. Un gesto, quello in questione, che è permesso solo chi a sa trattare il pallone in un certo modo: Grealish lo sa fare e pertanto ha il lasciapassare per questo dress code che, tra l’altro, gli porta fortuna alla prima partita giocata. Risultato? Per l’eccentrica superstizione del ragazzo di Solihull uno solo: il calzettone a metà polpaccio diventa una routine. Tra geniali lampi di classe degni dei più eleganti salotti del pallone e veraci contrasti da fangosi campi di periferia, l’infanzia calcistica di Grealish trascorre non seguendo i naturali processi di evoluzione ma sempre un passo avanti: il destino del predestinato.
Esordisce a 16 anni, nel marzo del 2012, in Premier League contro il Chelsea in un battesimo passato in sordina tra i fans dei Villans ma non a casa Grealish, dove il 31 marzo diventa l’alba di un nuovo inizio. Vince la NextGen con l’U19 da protagonista, passa al Notts County in League One dove comincia a prendere confidenza con il calcio dei grandi come dimostrano i 5 gol e i 7 assist in 38 partite a soli diciotto anni. Torna all’Aston Villa e lo fa da protagonista prendendo parte sia a successi storici come quello sul Liverpool in semifinale di FA Cup sia a scandali da tabloid come le immagini che lo ritraevano intento a fumare gas esilarante dopo una partita.
La sberla definitiva che cancella l’associazione della parola sregolatezza a chi lo definiva già genio arriva con la retrocessione in Championship a maggio 2016. I luccicanti campi da copertina della Premier League, dati per scontati vengono cambiati nei ring della serie B inglese, autentiche sabbie mobili per chi non è preparato psicologicamente. Come ne “La Storia Infinita”, storico film del 1984, inizialmente la Championship è alla stregua della palude della tristezza, un terreno insidioso che inghiotte non chi è triste come nel caso del film ma chi non è preparato psicologicamente. Grealish all’inizio vi rimane imprigionato commettendo errori di gioventù che paga ma da cui si riscatta. Lottando. Come sempre.
Dopo tre anni di purgatorio, con la fascia da capitano al braccio e con la leadership di un figlio di Birmingham, Grealish è tra gli eroi capaci di riportare la Brum City in Premier League. Un’impresa raggiunta con maturità, un’indole da combattente e due logori scarpini magici che, in una trasposizione cinematografica nella realtà della storia di Jimmy Grimble (film inglese che racconta la storia di un ragazzino che con due vecchie scarpe acquisisce il talento e la consapevolezza per diventare un grande calciatore), lo hanno accompagnato da marzo sino alla finale col Derby County. Una stramba superstizione che si conface più a Lino Banfi ne “L’allenatore nel pallone” che allo charme di un inglese.
50% IRLANDESE + 50% INGLESE
Le origini di una persona, inequivocabilmente, scrivono la sua storia e ne determinano la personalità. Il luogo in cui nasciamo, la nostra famiglia e le sue tradizioni sono penna, matita e calamaio che scrivono le pagine della nostra vita. Jack Grealish, in questo senso, non è da meno e le radici della sua famiglia si sono trapiantate sia nel terreno della personalità che nel suo stile di gioco. Irlandese per parte di madre, inglese da parte di padre, Jack è un meticcio di classe che alterna un gaelico spirito di combattimento ad una britannica lucidità di analisi.
Sinteticamente riconosciuto come mezz’ala, Grealish è un tuttocampista che fa della radura del centrocampo il suo habitat naturale. Non disdegna la fascia laterale dove spesso agisce come esterno, si trova a suo agio sul ring della metà campo dove lotta senza paura ma si sublima sulla trequarti dietro la punta dove si muove con la tranquillità del padrone di casa. Fisicamente è un centrocampista atipico che, usando una metafora automobilistica, potrebbe essere definito come un intrigante prototipo. Muscolarmente molto forte nella parte alta, esplosivo e definito nelle gambe è capace di scatti fulminei e di un’ottima protezione palla che lo rendono sia la soluzione preferita dei Villans per i contropiedi sia una sorta di pivot per far salire la squadra.
Dotato di un’ottima visione di gioco, ha sia la capacità di apparecchiare la tavola per i compagni affamati di gol, come dimostrano i sei assist stagionali, sia la voracità nel prendere parte al banchetto delle reti come dicono i sette centri in campionato. L’arsenale delle conclusioni dichiarato da Grealish parla di un ottimo score nel tiro dalla distanza, di una perfetta capacità di gol su inserimento e di una chirurgica precisione sulle conclusioni a giro oltre alla licenza nell’inventare tiri favolosi come dimostra la perla segnata al Manchester United. Ha una predisposizione naturale al combattimento come dicono i 212 contrasti vinti, i 26 tackle e i 35 recuperi, dati da mediano di rottura che vengono sorprendentemente alternati con un elegante tocco di palla sudamericano: una caratteristica quasi inspiegabile che spinge a cercare nell’albero genealogico della famiglia Grealish qualche parente emigrato.
Jack interpreta il ruolo del centrocampista con la classe di Brad Pitt in Fight Club: una lotta armoniosa, elegante e senza esclusione di colpi che lascia sul volto dell’avversario sconfitto il sorriso per essersi battuto con un ragazzo dall’assoluto talento. Siamo partiti dalle macchine e concludiamo con i motori accesi. Grealish, nella scuderia dell’Aston Villa alla ricerca di rilancio, rappresenta l’ammiraglia, ovvero la macchina più bella, simbolica e rappresentativa. Quella che incarna l’essenza di un claret and blu. Quella che incarna i valori di Birmingham e del suo popolo.
Fonte immagine di copertina: profilo Instagram Jack Grealish