La pandemia ha stravolto le abitudini di tutti noi, dalla vita quotidiana allo sport professionistico nulla è come prima. Appena due campionati fa, quando facevamo riferimento al “dodicesimo uomo in campo” non potevamo far altro che pensare al pubblico, a quei migliaia di tifosi sulle gradinate che incitano la propria squadra dal primo all’ultimo minuto.

Quante partite sono state cambiate dal pubblico? Quante squadre trasportate dalla magia che solo uno stadio pieno sa dare? Quante imprese consegnate alla storia grazie alla spinta di 50-60 mila persone che gridano il nome della loro squadra del cuore?

Nell’attesa di rivivere quei momenti magici, il concetto di “dodicesimo uomo” è cambiato. Con gli stadi vuoti e giocando partite ogni tre giorni, la panchina ha assunto un ruolo chiave nelle dinamiche di una squadra e perché no, nella corsa alla conquista di trofei. I cinque cambi hanno di certo aiutato questa transizione, dove l’unico vero titolare rimane il portiere, visto che l’allenatore ha la possibilità di cambiare metà degli uomini di movimento a partita in corso.

L’ARTE DI SUBENTRARE

Subentrare dalla panchina è una vera e propria arte, e solo chi si cala a pieno in questo ruolo “marginale” può realmente cambiare le sorti di una partita. Col passare degli anni alcuni calciatori sono diventati dei veri e propri specialisti del genere, facendo le gioie dei propri allenatori e delle proprie squadre.

Il nostro campionato è pieno di questi specialisti, ieri come oggi, pieno di quei giocatori che entrati a gara in corso hanno deciso la sorte di partite quanto di campionati. Un’arte che anche gli allenatori devono essere bravi a cogliere, a trovare il momento giusto per mettere questi giocatori nelle miglior condizioni per fare bene.

Zaza, non proprio la prima scelta di Allegri, nella notte di San Valentino del 2016, decise uno Scudetto a due minuti dalla fine di una partita cruciale contro il Napoli di Sarri. Con quel gol, dopo un inizio di stagione disastroso, la Juve agguantò la vetta della classifica a discapito dei partenopei, vetta che non lascerà più fino a fine stagione.

Fonte immagine: Profilo Twitter Ufficiale Juventus

Rimanendo in maglia bianconera, altro fuoriclasse del genere era Douglas Costa, l’arma in più di quella Juve arrivata a sfiorare per due volte il tetto d’Europa. Velocità, cambi di direzione, dribbling: armi devastanti quando la stanchezza comincia a farsi sentire e si ha bisogno di dare quel pizzico di brio in più alla squadra per portare a casa il risultato.

L’ERA DEI CINQUE CAMBI

Arrivando ai giorni nostri due giocatori su tutti si stanno distinguendo in questa “arte”: Luis Muriel e Alexis Sanchez.

Muriel è un vero e proprio fuoriclasse del genere, tanto da sembrare a proprio agio più da subentrante che quando schierato da titolare. Nella stagione 2019-20 il colombiano segnò 11 gol partendo dalla panchina aiutando l’Atalanta a conquistare uno storico posto Champions. Quest’anno, sia in campionato che in Europa, quando è entrato a gara in corso ha sempre fatto la differenza, segnando gol pesantissimi, come quello ad Amsterdam contro l’Ajax, e regalando svariati assist ai suoi compagni.

Capitolo a parte quello di Alexis Sanchez, calatosi solo ultimamente pienamente nel ruolo di prima scelta dalla panchina. Quest’anno il cileno è la vera arma in più di Conte che, dopo averlo imbeccato più volte sulla sua scarsa vena realizzativa, ha finalmente trovato in lui il dodicesimo uomo che cercava, l’asso vincente da pescare dal mazzo quando si ha bisogno di qualcosa in più. La partita col Torino è emblematica in tal senso. Entrato a 10 minuti dalla fine, ha impiegato poco più di 3 minuti per decidere il match regalando un fantastico assist per la testa di Lautaro, che ha permesso all’Inter di portare a casa tre punti pesantissimi in ottica Scudetto.

SIXTH MAN OF THE YEAR

In NBA il ruolo del “sixth man“, ovvero la prima scelta dalla panchina, assume un ruolo cruciale nell’arco della lunghissima stagione, tanto da indurre la lega a riservargli una categoria nei premi di fine stagione: il “Sixth Man of the Year“, l’MVP della panchina. Un premio di tutto rispetto che negli anni è passato in mano a fuoriclasse come Manu Ginobili, James Harden, J.R. Smith, Toni Kukoč e chi più ne ha più ne metta.

Non sarebbe una cattiva idea premiare, anche nel calcio, quei calciatori che in pochi minuti sono in grado di cambiare le sorti di una stagione e che, forse, proprio per i pochi minuti giocati, non passeranno mai alla storia dei loro club. Che siano 20, 10 o solo 5 minuti il “dodicesimo uomo” resta pur sempre un’artista del gioco.

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