Matteo Darmian è il classico giocatore che si è fatto le ossa. Partito dal basso, passato per le prestigiose giovanili del Milan (dove ha esordito pure in Serie A). Formatosi nei professionisti prima in cadetteria a Padova e poi nella massima serie a Palermo. Quindi è diventato uno dei migliori esterni a Torino, sotto la guida sapiente di Giampiero Ventura.
Quei quattro anni nel capoluogo piemontese, difendendo i colori granata, sono stati semplicemente fantastici per il terzino legnanese. Gol, giocate da campione, ma soprattutto tanta corsa. Un motorino instancabile sulla fascia. Per il 3-5-2 di venturiana memoria, era l’appoggio per i centrocampisti, era la freccia da servire per gli attaccanti, ma era anche il ripiego fondamentale per i tre difensori. Era semplicemente l’uomo essenziale.
Quattro anni da campione. Uno per tornare subito in Serie A, uno per adattarsi al massimo campionato italiano, uno per andare in paradiso (la storica qualificazione in Europa League), e l’ultimo per farsi scoprire all’Europa che conta, con quella rete storica nella magica notte del San Mamés di Bilbao. Nella parte rossa di Manchester qualcuno avrà visto proprio quel gol. E non si fece alcun tipo di problema, nell’estate del 2015, a strapparlo al Toro e a portarlo direttamente nel “The teatre of dreams”, ad Old Trafford.
Lui, esterno tutta fascia e tutta corsa, da operaio vero, in quello stadio che trasuda storia, vittorie, spettacolo e che dispensa sogni. Le difficoltà erano prevedibili. Quattro anni anche nello United. Quattro anni però neanche minimamente paragonabili a quelli passati a Torino. Nel Manchester più brutto degli ultimi vent’anni, quella della pessima gestione Van Gaal e del sempre conflittuale Mourinho, fare bene e ritagliarsi un posto da titolare era impresa quasi impossibile. Metteteci la sfortuna di una serie di infortuni, e il quadro è completo. Solo una fiammata degna nota: la finale di Europa League contro l’Ajax disputata da titolare e giocata benissimo.
Il ritorno in Italia era cosa prevedibile. Dopo tante sessioni di mercato in cui per tutti era vicino al ritorno, mai concretizzatosi, l’estate scorsa decide di andare nella insolita destinazione parmense, giocando per la salvezza. E con l’intento di rilanciarsi dopo troppo tempo. La stagione è degna di nota, da leader esperto, da terzino polivalente (sapendo giocare sia a destra che a sinistra) e da giocatore fuori categoria per il Parma. L’Inter, già in autunno, se ne accorge e lo prenota riservandoli un posto nella sua scuderia.
Antonio Conte è il classico allenatore che fa del concetto “nessuno escluso” il suo mantra. Non esclude nessuno dalle sue idee, dai suo obbiettivi, dalle sue giornate di gloria. Non gli interessano le prime donne con enorme talento, ma giocatori con la fame negli occhi. I gregari sono essenziali, sono quelli delle partite sporche, sono quelli che nei momenti decisivi troppo spesso si trasformano in super star.
Darmian è esattamente il prototipo del giocatore descritto sopra. Non strappa l’occhio… te lo azzanna con la sua fame, con la sua grinta, con la voglia di diventare finalmente lui il protagonista. La rivalsa della classe media. In una squadra che vuole diventare grande, non possono mancare giocatori come Matteo Darmian. Sono fondamentali. Gente che ha poco da perdere e tanto da guadagnare. Quando le cose si fanno difficili, loro ci sono sempre.
E questo Conte lo sa benissimo. A loro affida la sorte delle partite ad alta tensione, quando la palla scotta e quando ogni contrasto pesa come un macigno; quando lasciare un punto per strada vuol dire concedersi alla resa. Darmian esattamente come Giaccherini, o Giaccherinho, come veniva sopranominato quando la palla sembrava incollata al suo piede e sembrava fosse nato sulle spiagge di Copacabana.
Tutti e due arrivati nel silenzio generale. Tutti e due con facce stampate nella perplessità dei tifosi. Ma tutti e due così fondamentali per le sorti delle loro squadre. Giaccherini con le sue giocate in mezzo al campo e i suoi gol ha contribuito al raggiungimento di una finale di Coppa Italia e alla vittoria dello scudetto della prima Juve di Conte. Mandando in paradiso la platea juventina quando, il 10 marzo 2013, con un gol allo scadere contro il Catania, ha dato l’allungo decisivo per il secondo scudetto della dinastia bianconera.
Darmian, con i suoi ingressi incisivi, ha consegnato all’Inter i punti decisivi per ritornare ad alzare un trofeo. Sempre nell’ultimo quarto d’ora e sempre con la fame negli occhi di chi ha già vinto, solamente giocando nella scala del calcio. Prima Cagliari e poi Verona, sempre per uno a zero, sempre con la firma insospettabile, ma per Conte fino ad un certo punto, del gregario Matteo Darmian.
Emanuele Giaccherini prima, Matteo Darmian poi. L’indispensabile classe operaia.