Nel lungo percorso che ha visto il White Hart Lane avvicendarsi con il ben più capiente Tottenham Hotspur Stadium la squadra di casa ha fatto visita più volte agli impianti di lavorazione. Sono state degli autentici tour a porte chiuse in cui il gruppo, accompagnato da giornalisti e fotografi, si lasciava attrarre delle gru e dalle parole degli addetti ai lavori, che hanno preteso – come da norma, giustamente – che i visitatori si munissero di guanti e elmetti protettivi. La fotografia che ritrae un sorridente Pochettino a colloquio con un operaio è una delle immagini più eloquenti della sua vita manageriale. Un allenatore che ha costruito molto, cementificato parecchio ma poi ultimato poco. Questo ha reso la carriera di Pochettino un ottovolante di giudizi non sempre positivi, che da un lato non potevano non esaltare lo straordinario calcio del Tottenham e dall’altra constatare le difficoltà del gruppo di arrivare in fondo a un percorso. Nelle cinque stagioni londinesi – che in Inghilterra seguono le due belle stagioni al Southampton – l’allenatore argentino è finito due volte terzo, una volta secondo e una volta quinto. Attualmente terzo nel podio della classifica inglese, il Tottenham pare nuovamente di fronte alla solita stagione lussureggiante, fatta di molti alti e soddisfazioni pregevoli, anche se i guai, come la costanza e le pause, non hanno abbandonato la squadra del nord di Londra.
Il pedigree di Mauricio Pochettino racconta la carriera di un allenatore motivato e capace di poter parlare la lingua dei grandi, pur non avendo i loro stessi voti in pagella. Il podio conquistato negli ultimi tre anni è un risultato importante per il club di Londra, che dopo anni in mano a gestioni complicate e a passaggi di testimone è arrivato ad avere un punto fermo non solo in campo ma anche in panchina. Pochettino ha maturato il suo status di allenatore di livello in un sito calcistico perfetto, creando un laboratorio di calcio in cui sviluppare un’idea coerente e convincente. L’affermazione negli anni dell’attuale roster del Tottenham passa soprattutto dalla mano del suo allenatore, che ha spesso insistito sul non volere eccessivi cambi di giocatori; da quando Pochettino è allenatore degli Spurs sono arrivati a Londra ventidue nuovi giocatori, e clamorosamente, nell’ultima finestra estiva di calciomercato, non sono state fatte operazioni né in entrata né in uscita. Il blocco-Pochettino ha i suoi punti fermi di incredibile qualità – il trio di trequartisti, Harry Kane, Vertoghen, Lloris – ma è stata lampante negli anni l’assenza di una profondità adeguata dalla rosa, mancando dunque delle risorse di cui altri club hanno beneficiato.
Il lavoro di Pochettino nella City è certamente uno dei più pregevoli in termini di continuità nel blocco delle big six del campionato inglese. Oltre a Wenger, nessuno attualmente fra le prime sei della classifica è seduto sulla panchina del proprio club da più tempo dell’argentino. I miglioramenti che la squadra ha ottenuto stagione dopo stagione – anche nelle coppe europee – sono le conseguenze della pianificazione di Pochettino, che ha seguito l’evoluzione di alcuni giocatori (Eriksen, Harry Kane e Son) e l’esplosione molto precoce di altri (Dele Alli su tutti). Dunque il risultato strettamente legato al campo ha esaltato un Tottenham piacevole e molto spesso spettacolare, che nei momenti migliori ha disegnato calcio in maniera singolare. Indimenticabile da questo punto di vista sono stati i risultati contro il Real Madrid (sia all’andata che al ritorno) e la Juventus in Champions, e in particolare, nel doppio confronto contro i bianconeri, si è condensata l’icona di Pochettino, tanto abile e preparato quanto perennemente mancante di qualcosa.
Nel calcio si vince e si perde insieme, e per questo i risultati finali delle stagioni del Tottenham sono assolutamente frutto del lavoro di tutti, squadra e allenatore. Entrambe le parti rispondono alle difficoltà di trovare un’incoraggiante linearità di risultati che riesca a portare un titolo nella propria bacheca. Perché il bel gioco e la costanza della propria idea di calcio, in quattro stagioni, al Tottenham non hanno portato nulla in termini di vittorie di trofei, ma solo buoni risultati in classifica e l’archiviazione di uno status sportivo maggiore di quello di prima. Pochettino ha dimostrato di saper costruire tanto senza però riuscire a cementificare gli importanti miglioramenti con un titolo che al Tottenham, dopo l’ultima coppa alzata nel 2008 (League Cup), manca da più di dieci anni.
È intuibile come l’assenza di un organico profondo abbia condizionato alcune fasi del percorso di Pochettino, che appunto, in quanto a preparazione di una gara e a costruire un’idea di calcio è fra i migliori in Europa. Quello che negli anni si è appuntato all’ex allenatore dell’Espanyol però sono i risultati finali, che si affiancano alle noiose e impreviste frenate nei momenti chiave della stagione. Proprio quando la squadra pare prendere il via, il meccanismo si inceppa e viene smorzato tutto l’entusiasmo per una striscia di risultati più che positiva, ma che alla fine, come si diceva, non trova un finale adeguato. Un esempio illuminante è riscontrabile durante questa stagione, quando inizialmente, dopo le prime tre giornate giocate con un calcio strabiliante, arriva una sconfitta difficile a Waford; a dicembre, dopo cinque vittorie consecutive, il Tottenham perde in casa 3-1 contro il Wolverhampton. Questo negli anni è stato il limite più esplicito delle stagioni di Pochettino, che opprime anche troppo tutto ciò che è stato fatto vedere di buono sul campo. Proprio per questo, in una squadra diversa e con una profondità di rosa più esaustiva, Pochettino potrebbe riscattare queste sue interruzioni di percorso e verificare se la sua idea di calcio così convincente e bella sul campo possa essere valida anche in altri ambienti. Tornando in Spagna o tentando il percorso italiano: smettere di essere un illusionista e diventare un vincente a tutti gli effetti.