Non mi intendo di astrologia, per cui non so se possa esserci una spiegazione nelle stelle. Però di sicuro qualcosa di particolare c’è nella data di oggi, il 24 giugno. Qualcosa di profondamente legato al calcio. Oggi è il compleanno di due argentini che il calcio lo hanno segnato indelebilmente: con uno stile molto personale ma in qualche modo anche collegabile, perché entrambi sono monumenti eretti al numero più iconico che ci sia nel mondo del football, il dieci. Entrambi hanno ammaliato, conquistato, trascinato e fatto innamorare. Ma entrambi hanno anche sempre diviso. Entrambi hanno vinto tanto, ma tutti e due hanno dovuto anche conoscere la parola fallimento, soprattutto giocando per il loro Paese. Però, insieme hanno vinto l’unico trofeo conquistato dall’Argentina negli ultimi quindici anni, ovvero l’Oro olimpico di Pechino 2008. Uno è la lirica, l’altro la magia. Uno è Juan Roman Riquelme, che oggi compie quarantuno anni, l’altro è Leo Messi, che di candeline ne spegne trentadue.

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Fonte: Profilo Instagram di Leo Messi.

Simili per certi versi: uno El Mudo per antonomasia, anche se ogni tanto, specialmente da quando ha smesso di giocare, ci tiene a parlare, e lo fa sempre in maniera piuttosto contundente. L’altro muto per indole, perché Messi se potesse non parlerebbe mai. Non gli piace, non gli riesce. Lo ha anche ammesso di recente, dicendo di essere “un capitano che parla poco”. Una delle poche, ma presenti, contraddizioni della sua figura. Entrambi associati al numero dieci, interpretato però differentemente: Roman è stato forse l’ultimo esponente puro del concetto “argentinissimo” di enganche, il gancio, il collegamento fra tutto quello che può e deve esprimere la squadra. Riquelme ha fatto del suo calcio una rappresentazione lirica: per il popolo, sempre e comunque, ma aristocratica in ogni sua parte, superba, trascendente. Messi invece ha portato la magia su tutti i campi che ha calcato, ha rappresentato e continua a rappresentare lo stupore fanciullesco di fronte al prodigio, a quello che sembra impossibile e invece ti si materializza davanti con tutto il suo fulgore. Riquelme è l’assist che ti fa sobbalzare in un sospiro, Messi è il gol che ti scioglie in un sorriso. Riquelme è quello che sul campo ferma il tempo, preme il tasto “pausa”, sospende tutto attorno a sé nel momento in cui si pianta inglobando il pallone, difendendolo semplicemente con la postura, liberandolo con un virtuosismo da torero e servendolo con quella personalissima capacità di telecomandarlo, di farlo accelerare e poi frenare, che non si è vista spesso in centocinquant’anni di storia di questo sport. Messi invece il tempo lo sconvolge, lo accelera, lo brucia. Non lo definisce facendo viaggiare il pallone, ma portandolo. Come il bambino che non vuole mai separarsene: lo tiene sempre incollato al suo piedino sinistro, gli fa fare viaggi mitici, evoluzioni fantastiche, lo nasconde e lo fa riapparire come un prestigiatore. E poi lo manda sempre là dove deve stare: al sicuro, a riposare, dentro una rete.

Messi

Fonte: Profilo Instagram di Leo Messi.

Uno il numero dieci classico, l’altro quello moderno, che è sì un fantasista ma è più un attaccante che non un centrocampista offensivo. Si sono conosciuti a Barcellona, la prima volta. Non hanno mai giocato insieme in maglia blaugrana, però si incrociarono in una serata, con annesso l’immancabile asado, a casa di Josep Minguella, l’uomo che ha gestito primariamente l’arrivo nella capitale catalana della Pulga. E Minguella racconta che nel momento in cui Roman Riquelme entrò nella sua dimora, per quel ragazzino seduto in fondo alla tavola, sempre zitto e con la testa leggermente reclinata su di un lato, non esistette più altra cosa al mondo. Puntò gli occhi su di lui, quasi in trance, rapito dalla figura che per Leo Messi rappresentava il vero Diez. L’idolo. Il modello.

Riquelme e Messi sono anche due figure che distruggono un preconcetto assurdo, ovvero che due numeri dieci non possano convivere nella stessa squadra. Una follia, perché due giocatori così sarebbero la fortuna di chiunque. Anche l’uno dell’altro. Si è visto chiaramente nell’Olimpiade cinese di undici anni fa: l’hanno vinta insieme, mostrando in modo lampante che uno come Riquelme, potendo contare su di uno come Messi a cui affidare il pallone negli ultimi venti metri (e anche ad altri sbocchi come Di Maria, Lavezzi e Aguero), trova il perfetto utilizzatore finale delle sue teorie architettoniche, ma anche che Messi, se ha alle spalle un grandissimo armatore di gioco come Riquelme, può banchettare al massimo delle sue possibilità, scaricato della pressione di dover sempre essere l’epicentro totale della squadra e messo nelle migliori condizioni possibili per scatenare la sua magia. Hanno vinto tutte le partite a Pechino, hanno picchiato tre gol in semifinale al Brasile vendicandosi (parzialmente) di quelli che avevano subito un anno prima a Maracaibo, nella finale della Copa America 2007. Hanno fatto sembrare gente come Marcelo, Hernanes, Ronaldinho, Diego e Pato dei figuranti messi lì apposta per far risaltare le vere stelle. Anche se poi, el hombre del partido fu il Kun Aguero, con due gol segnati entrambi dall’interno dell’area piccola e con il rigore procurato che ha permesso al numero dieci, al capitano, a Juan Roman Riquelme di completare la festa. Una partita indimenticabile, uno spettacolo raramente ripetibile.

E le divinità del calcio, a cui questo 24 giugno deve obbligatoriamente essere santificato, hanno fatto in modo che due figure del genere nascessero lo stesso giorno. 24 giugno del 1978 Riquelme, 24 giugno del 1987 Messi. Tutto uguale, solo le ultime due cifre sono invertite.

Come a mettere uno specchio fra due grandiosi ed eterni numeri dieci. Che oggi festeggiano entrambi il compleanno. Nel giorno che, più di tutti, è il giorno del Diez.

 

 

Fonte immagine in evidenza: produzione Numero Diez.

StefanoS
Scritto da

Stefano Borghi