In quattro giorni addirittura dieci reti incassate lungo i neanche 90 km che separano il Tottenham Hotspur Stadium da Brighton. Sembra passata un’era dalla finale del Wanda Metropolitano per il Tottenham: da quella sconfitta contro il Liverpool nella partita di gran lunga più importante nella storia degli Spurs, sono trascorsi appena quattro mesi, eppure – nonostante la campagna acquisti più importante dell’era Pochettino – il Tottenham sembra rivedere fantasmi di un tempo che fu – prima del manager argentino – quando non si riusciva mai a competere per le prime posizioni nonostante rose competitive e buone intenzioni, quando – per dirla alla Colin Farrell nel film In Bruges – il Tottenham era come il purgatorio.
LE PREOCCUPAZIONI
Premessa: in campionato il Tottenham ha cominciato male e deve ancora affrontare quasi tutte le big, ma non ha compromesso nulla: il quarto posto dista solamente tre punti, ed anche la corazzata Manchester City è a sole cinque lunghezze, mentre soltanto il Liverpool è veramente lontano. A preoccupare, però, sono più aspetti: il rendimento nelle coppe (eliminazione in Coppa di Lega al primo turno contro una squadra di quarta divisione, un punto nei primi due turni di Champions League con nove gol subiti in due sfide), la fragilità difensiva (un solo clean sheet in undici partite), la difficoltà nel trovare una veste tattica adeguata e la condizione dei big. L’ambiente si sta rivelando molto permeabile a queste difficoltà che sembravano sepolte da anni nell’ecosistema perfetto creato da Mauricio Pochettino e dal club londinese, e non passa giorno senza che rumors ed insinuazioni non turbino ulteriormente le cose. Negli ultimi giorni, per esempio, si è parlato con insistenza di un Mourinho pronto a prendere il posto dell’argentino e di una rosa di cinque epurati (tra cui dei nomi eccellenti) ai margini dei programmi tecnici, tre dei quali erano in campo dal primo minuto nell’ultima disfatta a Brighton per 3-0.
RADICI PROFONDE: UN GIOCATORE CHIAVE
La finale di Champions League ha distratto dai problemi del Tottenham della scorsa annata ma non deve illudere: le difficoltà di questo inizio stagione hanno radici più profonde. Delle ultime dodici partite della scorsa Premier League, il Tottenham ne ha perse ben sette, calando solamente una posizione in classifica grazie alle mancanze delle rivali. Da metà gennaio sono arrivati la miseria di venti punti in quindici giornate, l’eliminazione in Coppa di Lega e in FA Cup, a fare da contraltare alla cavalcata in Champions League che nel frattempo diventava impetuosa.
Abbiamo scelto metà gennaio come check-point perchè coincide con la cessione di Moussa Dembélé, passata sottotraccia e senza rimpiazzo: il Tottenham, da allora, ha smarrito la propria identità tecnica e tattica. Dembélé rappresentava l’uomo d’ordine in mezzo al campo che coniugava con enorme intelligenza tattica il lavoro di interdizione ad una prima impostazione senza lampi ma efficace e pulita. Il Tottenham ha sottovalutato la sua mancanza, ma non ha più trovato nessuno in grado di compiere quel lavoro con la stessa qualità: il palleggio ne ha tremendamente risentito e gli Spurs hanno avuto terribili difficoltà soprattutto a scardinare difese che non venivano al cospetto di Kane e soci con l’assillo di vincere. Nello scorso campionato, il Tottenham ha segnato 42 reti nel girone d’andata e soltanto 25 in quello di ritorno. Dove la squadra di Pochettino non sembra aver risentito del trasferimento in Cina del mediano belga è stato in Champions League: al di là degli episodi favorevoli, la competizione è sembrata perfetta per la nuova impostazione del Tottenham. Senza Dembélé, la squadra è diventata naturalmente molto più reattiva negli ultimi mesi della scorsa stagione e ciò si è rivelato la chiave per eliminare tre squadre come Borussia Dortmund, Manchester City e Ajax, tutte fortemente sbilanciate in avanti e puntualmente infilzate dal nuovo Tottenham molto più verticale, con schegge impazzite come Lucas e Son molto più coinvolte rispetto a palleggiatori come Alli ed Eriksen. Persino Llorente, prima un desaparecido, è risultato fondamentale nel finale di stagione, con il suo lavoro di sponda e di gestione delle palle lunghe.
CERCARE SE STESSI
Il percorso europeo non ha illuso dirigenza e Pochettino. Il Tottenham infatti ha lavorato in estate per tornare al gioco che tanto aveva fatto apprezzare l’allenatore argentino durante i suoi primi quattro anni e mezzo di gestione. Sono andati via un dominatore dell’area come Llorente ed un terzino poco associativo come Trippier, si è tornati a spendere dopo diversi mercati con la cinghia tirata e sono arrivati due giocatori importanti per l’idea di gioco pensata, due centrocampisti di qualità: Giovani Lo Celso e Tanguy Ndombelé. Soprattutto il secondo sarebbe dovuto essere il sostituto naturale di Dembélé – e non solo per l’assonanza nel nome: si tratta di un mediano di sostanza e qualità tecnica. Cosa è andato storto, allora? Ndombelé non ha ancora i tempi di gioco del suo collega, Lo Celso si sta confermando giocatore di difficile collocazione tattica, i due terzini destri deputati a sostituire Trippier non si sono rivelati all’altezza, mentre la vecchia guardia piano piano si sta disintegrando tra mugugni, richieste di cessione, musi lunghi ed infortuni. Alderweireld è sembrato sul punto di andarsene per tutta l’estate, Eriksen non vuole proprio saperne di rimanere e vive la sua (probabile) ultima stagione a Londra come un condannato al patibolo, Alli le prova tutte ma sembra essersi smarrito, Kane predica nel deserto e pare scoraggiato dalla cosa, neppure Lloris se la passa bene tra i pali tra errori marchiani e un infortunio al gomito, in questa situazione i tanti giovani interessanti come Walker-Peters, Sanchez, Foyth, Winks e Skipp non trovano terreno fertile per emergere.
E POCHETTINO?
Pure Pochettino non se la passa bene. Ormai ufficialmente sulla graticola, era già stato criticato per le difficoltà nei primi mesi del 2019, condonate dalla finale, però, persa. In questo primo scorcio di stagione, non ci sta capendo nulla: l’undici titolare cambia sempre e pure sul modulo c’è indecisione. L’idea iniziale era di lavorare sul 4-3-1-2 che aveva dato soddisfazioni in passato, ma il tremendo 7-2 casalingo subito per mano del Bayern Monaco ha fatto naufragare ogni certezza. Pochi giorni dopo, Pochettino è passato al 4-2-3-1 che, nelle sue varianti (trequartista oppure due punte vicine), aveva spesso dato garanzie, ma il 3-0 incassato a Brighton è stato un colpo durissimo. Vista la poca fiducia nei terzini (Aurier e Davies sono due dei cinque epurati di cui si parla, gli altri sarebbero Dier, Eriksen e Wanyama), tale da far giocare Sissoko nell’inedito ruolo di esterno destro basso contro i Seagulls, è facile pensare ad un passaggio alla difesa a tre al ritorno dalla pausa, ma va pur detto che con lo stesso schieramento i Lilywhites non sono riusciti a passare contro il Colchester, squadra di quarta divisione, in Coppa di Lega, seppur schierando le seconde linee.
La coperta, come la tiri la tiri, sembra corta e servirà, più che un’intuizione tattica, che l’ambiente si ricompatti intorno alle sue figure più autorevoli. Gli obiettivi stagionali sono ancora tutti alla portata, ma spirano inquietanti venti di fine ciclo che deprimono l’ambiente e abbattono le certezze lentamente maturate volta dopo volta. Al rientro dalla pausa, dovrà essere un Tottenham completamente diverso e lo sa bene Mauricio Pochettino, maestro di calcio e fautore di un miracolo tecnico e di programmazione sportiva, ma che potrebbe farne le spese senza troppi complimenti.
Immagine copertina: facebook Tottenham Hotspur