Dominare, cadere per poi rialzarsi e cadere di nuovo, questa volta però felice, senza più forze e soprattutto senza più tensione, quest’ultima sciolta con un pianto liberatorio che lo ha reso umano dopo quasi cinque ore da marziano. Ha concluso così la sua finale Nadal, un epilogo di uno slam che è secondo per durezza e drammaticità solo a quella finale del 2008 sul manto erboso di Wimbledon. Il russo odiato e poi amato dalla grande mela stava per compiere qualcosa che sarebbe rimasto impresso negli annali della storia tennistica, una rimonta partita da 2 set ed un break di svantaggio mista a dei fastidi fisici che lo hanno accompagnato lungo tutta la cavalcata newyorkese.

Fonte: profilo instagram ufficiale US Open

Una versione di Nadal da semidio del tennis, un misto tra l’immortale e il mortale, una resilienza ed una tenuta mentale che non lo hanno mai abbandonato restando sempre razionale, giocando in modo ragionato e rendendosi conto che non è più il ragazzo tutta rotazione e difesa del 2008. La capacità prendere coscienza che anche lui ormai può essere mortale, memore della caduta post Roland Garros 2015 durata fino al 2017, cambiando stile di gioco, risparmiandosi in alcuni frangenti ma restando un muro invalicabile quando c’è da decidere la partita. Anche con Berrettini ha sofferto molto ma nel momento importante non ha sbagliato più mantenendo quella continuità che è lo spartiacque tra l’essere un campione ed un buon giocatore. Continuità che forse, esclusi i tre noti, si può trovare solo in Daniil Medvedev. Il forse è d’obbligo per il russo dopo le fiammelle dei vari pretendenti ad essere i primi nella linea di successione al trono del tennis. Continuità che si ramifica in quella dell’intensità e quella dei risultati, non a caso il maiorchino è stato l’unico ad aver raggiunto almeno la semifinale nei quattro slam di quest’anno. Dal 2017 c’è stata una seconda giovinezza in termini di risultati: 5 slam vinti sui 12 conquistati, il -1 al record di 20 slam del rivale di sempre Roger Federer, e la sensazione che in certe situazioni, condizioni fisiche permettendo, continuerà a dominare almeno per un altro anno.

Una finale sofferta soprattutto a livello mentale con un arbitro che fin dal primo minuto ha provato a rendersi protagonista chiamando la time violation destabilizzando subito il maiorchino che più volte si è trovato a dover iniziare il punto direttamente con la seconda di servizio. Quella time violation che forse è stato il punto di svolta per Rafa quando nel quinto set, sotto 1-0, si trova costretto ad annullare una palla break solo con la seconda di servizio. In quel momento Nadal ha ripreso le forze per combattere contro tutto: arbitro, avversario e pubblico. Lo spagnolo si trovava nelle condizioni peggiori con la platea più incivile del circuito. Da quel punto Rafa ha iniziato a riprendersi tutto facendo anche cadere qualche certezza del russo ritornando sul binario perso al terzo set.

Questo US Open era l’occasione che non andava sprecata, con Federer e Djokovic fuori dai giochi, la strada del maiorchino sembrava spianata, ogni volta che nessuno dei due è arrivato in semifinale lo spagnolo non ha mai sbagliato. Non l’ha fatto nemmeno questa volta, nemmeno con l’età che avanza ed un Medvedev strepitoso, è la diciannovesima volta che Nadal si stende a terra esultando dopo una finale slam, questa volta decisamente con un sapore in più.

Fonte immagine in evidenza: profilo instagram ufficiale ATP

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Francesco Foria