L’eliminazione di mercoledì contro il Tottenham è stata l’ennesima delusione europea del Manchester City, che, da quando è in mano alla proprietà emiratina (ovvero dal 2008), è tornato ai livelli degli anni ‘60/‘70, quando vinceva in patria e anche in Europa (Coppa delle Coppe 1969/70): dopo il declino degli anni ‘90, culminato con la retrocessione in terza serie, negli anni duemila il club inglese si è rialzato, tornando tra le big della Premier League (il titolo vinto nella stagione 2011/12 mancava da 44 anni) e della Coppa Campioni, che nel frattempo aveva cambiato nome diventando quella che tutti noi conosciamo come Champions League. Tuttavia, nonostante i numerosi investimenti fatti (dal 2008/09 sono stati spesi un 1 miliardo e 661,95 milioni di euro), il City non riesce ad affermarsi a livello europeo: il punto più alto mai raggiunto è stata la semifinale persa contro il Real Madrid nella stagione 2015/16; poi solo delusioni, eliminazioni clamorose e sogni infranti, nonostante tutti soldi investiti.
2012/13, L’ANNO DOPO IL TRIONFO
Ai gironi della Champions League 2012/13 il Manchester City si presenta con lo scudetto cucito sul petto e con il gol e la corsa sfrenata di Sergio Agüero ancora negli occhi, che riportava il titolo nella parte meno considerata di Manchester, quella che non aveva vissuto gli anni d’oro di Beckham, Roy Keane e Sir Alex Ferguson, quella che era passata dall’inferno della Third Division al paradiso con quel gol al 95’ contro il QPR. Massime aspettative, dunque, per questa squadra, che l’anno prima, al ritorno nella massima competizione europea, si era fermata ai gironi. Gli scogli da superare quest’anno si chiamano Real Madrid, Borussia Dortmund e Ajax: non tre squadre a caso, ma per gli uomini di Mancini l’imperativo è superare i gironi. Tutto sembra partire nel migliore dei modi: al Santiago Bernabeu, contro i Galacticos di José Mourinho, dopo un primo tempo bloccato, al 68’ Edin Dzeko sblocca la gara, facendo impazzire i tifosi inglesi; neanche dieci minuti, però, e Marcelo pareggia i conti. Poi ci pensa Aleksandar Kolarov a riportare gli ospiti in vantaggio; ma quando sembra tutto fatto, un gol all’87’ e uno al 90’ regalano la vittoria al Real, infrangendo i sogni degli Sky Blues. Le cose iniziano a mettersi male quando gli inglesi vengono sconfitti 3-1 in trasferta dall’Ajax, dopodiché il pareggio interno contro il Real non basta ad evitare l’ultimo posto nel girone e l’eliminazione da tutte le coppe, sancita dalla sconfitta per 1-0 contro il Borussia Dortmund. Il Manchester City chiuderà, quindi, questa annata di Champions con 3 punti fatti, frutto di 3 pareggi e 3 sconfitte, rispettivamente in casa e in trasferta. La rosa di quell’anno non era evidentemente ancora pronta per competere a livello europeo, anche se dalla squadra vincitrice della Premier League ci si aspettava – e ci si aspetta sempre – qualcosa di più.
2016/17, IL PRIMO GUARDIOLA
Nell’estate 2016 Pep Guardiola diventa il nuovo allenatore del Manchester City: l’allenatore catalano, dopo il successo con il Barcellona e l’esperienza al Bayern Monaco, decide di accettare l’offerta dei Citizens, che hanno deciso di puntare su di lui per imporsi anche a livello europeo. Dopo aver superato facilmente il girone alle spalle del Barcellona e davanti alle modeste Borussia Mönchengladbach e Celtic, gli uomini di Guardiola si trovano davanti il Monaco di Falcao, Bernardo Silva e Mbappé, che aveva chiuso il girone al primo posto davanti a Bayern Leverkusen, Tottenham e CSKA Mosca: la sfida sembra alla portata del Manchester City, che vince la gara di andata 5-3, punteggio che fa pendere l’ago della qualificazione dalla parte degli inglesi, che, però, al ritorno rovinano tutto, perdendo 3-1 e uscendo dalla competizione. Quella del Manchester City sembra una vera e propria maledizione, capace anche di colpire un allenatore vincente come Guardiola che non era mai uscito agli ottavi di Champions. Un’eliminazione forse figlia della troppa presunzione con cui il City è sceso in campo nella gara di ritorno, nella quale è stato in balia del Monaco per tutti i 90 minuti, non riuscendo ad esprimere il proprio calcio e le proprie qualità.
2017/18 E 2018/19, UN APPROCCIO SBAGLIATO
Le ultime due edizioni della Champions League hanno visto i Citizens uscire principalmente per un approccio sbagliato ai match di andata, giocati in entrambi i casi in trasferta: l’anno scorso, ospiti ad Anfield, gli Sky Blues erano già sotto 3-0 dopo 30 minuti, completamente incartati dal gioco del Liverpool e dalla velocità del trio Salah-Firmino-Manè. A niente servì lo spregiudicato 3-3-4 – mascherato da 3-5-2 con Sané e Bernardo Silva esterni a tutto campo – proposto da Guardiola per ribaltare il risultato: dopo il gol di Gabriel Jesus al secondo minuto che aveva fatto ben sperare i tifosi, la partita rimase bloccata fino al 56’, quando Salah pareggiò i conti e diminuì le speranze del City, demolite dal definitivo gol dell’1-2 messo a segno da Firmino. Quest’anno abbiamo assistito nuovamente ad un’andata giocata male dal City, che, dopo il rigore sbagliato da Agüero, non ha affondato il colpo – privo anche di uno dei suoi giocatori più importanti, Kevin De Bruyne, lasciato inspiegabilmente in panchina da Guardiola -, ma comunque c’era qualche possibilità di rimonta. L’allenatore del Manchester City probabilmente aveva deciso di giocarsi il passaggio del turno nella gara di ritorno, sostenuto dai propri tifosi: tuttavia, come sappiamo, il Manchester City non è riuscito a ribaltare il risultato, nonostante la vittoria per 4-3. Questa stagione sembrava quella buona per fare il salto di qualità e provare a raggiungere almeno la finale: dopo il crollo del Real Madrid privo di Cristiano Ronaldo, la vittoria della Champions League era alla portata di tutte le partecipanti, con un occhio di riguardo al Barcellona, alla Juventus e, appunto, al Manchester City, che sembrava pronto per compiere il grande salto. Tuttavia anche quest’anno i progetti europei del City sono andati in fumo, confermando l’andamento delle squadre “spendaccione” (vedi il PSG) in Champions League e quello di Guardiola che, da quando ha lasciato il Barcellona, non è mai andato oltre i quarti. Semplice maledizione, dunque, o colpevole inadeguatezza?