La stagione 2022/23 passerà alla storia come l’anno zero del movimento sportivo saudita. L’irruzione nel calciomercato dei club arabi, riversatasi come un ciclone sulle dinamiche sportive del mondo occidentale, è a tutti gli effetti una minaccia per l’ecosistema calcistico. Le politiche invasive adottate dagli sceicchi rappresentano per l’ambiente europeo, già contaminato e marcio nel proprio midollo, una fonte di inquinamento che non si può (o non si vuole) contenere.
Il calcio è un mercato concorrenziale tra privati, e come tale risente di qualsiasi interferenza statale. Le iniezioni di petrodollari nei nostri circuiti, mascherati da acquisti altisonanti e contratti faraonici, celano una strategia ben precisa che punta a spodestare il Vecchio Continente come maggiore polo d’influenza nel mondo del calcio. A intimorire gli appassionati di questo sport, quindi, non deve essere la migrazione di lusso di calciatori importanti, ma il vero e proprio tentativo d’appropriazione culturale messo in moto dagli sceicchi d’Oriente.
CALCIO SAUDITA: IL PASSATO
Le vicende di calciomercato di questi giorni non sono eventi casuali, tantomeno imprevedibili. Il tentativo degli Emirati di costruire un campionato competitivo si inserisce all’interno di un disegno ben preciso. Il governo arabo è infatti da anni lanciato nel progetto Saudi Vision 2030, un quadro strategico volto a modificare la subordinazione dell’Arabia rispetto al settore petrolifero. In poche parole: investire i soldi provenienti dalle risorse per non essere più dipendenti da esse. Per comprendere a pieno il percorso e le cause che hanno portato i club arabi ad invadere la sessione corrente di calciomercato è necessario analizzare cronologicamente le operazioni saudite all’interno del calcio europeo.
Se l’acquisto da parte degli sceicchi del Manchester City nel 2007 non aveva destato sospetti, la rilevazione del PSG risalente al 2011 è stata a dir poco controversa. Nell’anno precedente all’operazione infatti era nato un preoccupante rapporto tra Platini, numero uno della UEFA, Sarkozy (presidente francese) e Tamim Al Thani, principe ereditario del Qatar. Nell’anno successivo all’incontro dei tre il club di Parigi, come è stato detto, sarebbe stato comprato da un fondo arabo, mentre le Roi avrebbe cambiato la propria posizione nei confronti degli Emirati, dando il proprio (decisivo) voto per l’assegnazione dei mondiali in Qatar. Ma non è finita qua: nello stesso anno il principe Al Thani avrebbe stretto un accordo militare con la repubblica francese, versando altri 7 miliardi nelle casse dei transalpini in cambio di una flotta di 24 jet.
Certo è difficile pensare che Sarkozy, condannato per corruzione e traffico d’influenza a tre anni di carcere, possa in qualche modo aver indirizzato Platini, squalificato anch’esso per 4 anni da ogni attività calcistica, nella scelta del paese a cui destinare la massina competizione calcistica. Davvero difficile.
At #PIF, we’re driven by the potential of what we can accomplish and the future we can shape.
It’s been seven years since #SaudiVision2030 was launched and we’re already realizing our nation’s potential, and we’re changing the world in the process.#FundingNewHumanFutures pic.twitter.com/CPvItCzI9U— Public Investment Fund (@PIF_en) May 29, 2023
CALCIO SAUDITA: IL PRESENTE
Il 2023 è stato quindi l’anno della definitiva vittoria qatariota. Lo svolgimento ordinario dei mondiali, ostacolato per quindici minuti dai soliti attivisti da divano, non ha minimamente risentito delle orrende verità emerse riguardo alla costruzione degli stadi. Anzi, è passata alla storia come una delle edizioni più riuscite di sempre, soprattutto dal punto di vista della nazione ospitante. Messi finalmente vince e alza la coppa ‘in accappatoio’, Mbappè fa tripletta e si afferma definitivamente: a Doha le stelle più luminose sono entrambe del PSG qatariota. Tutto ciò nella rivoltante cornice degli stadi di Qatar 2022, costruiti su delle ecatombe e animati da tifosi “in affitto”. È l’esegesi dello Sportwashing, termine utilizzato per descrivere la pratica tramite la quale corporazioni o governi si avvalgono dello sport per recuperare una reputazione compromessa od offuscare condotte illecite.
Ora la Saudi Pro League, dopo aver accolto Cristiano Ronaldo, si appresta ad ospitare Benzema, Kantè, Ruben Neves, Koulibaly e chissà chi altro. Grazie ai finanziamenti del fondo PIF, apparato statale che detiene il 75% delle quattro sorelle arabe (Al Nassr, Al-Hilal, Al-Ahli e Al-Ittihad), quest’estate molti calciatori voleranno con Fly Emirates. Ad aspettarli c’è il lusso più totale, il materialismo nel suo apice. Giocatori affermati che abbandonano la competizione per essere ricoperti di oro colato, piazzati come statue al centro di stadi sempre più grandi, popolati da spettatori sempre più poveri.
Si, perchè il bancomat illimitato di cui sembra disporre il Qatar altro non è che il fondo statale con cui la classe politica del posto dovrebbe garantire uno stato assistenziale ai propri abitanti. I contratti folli offerti ai giocatori, pagati grazie al lavoro sottopagato degli schiavi del nuovo millennio, sono l’equivalente di uno sputo in faccia ai diritti umani, una disgrazia sociale che va oltre il gioco e lo sport.
CALCIO SAUDITA: IL FUTURO
Davanti alla piega distopica che sta prendendo il calcio verrebbe da consigliare agli appassionati di disinteressarsi, di guardare dall’altra parte. Ma forse un’altra parte non c’è, perchè nella deriva sportiva che stiamo vivendo nessuno rema nella direzione opposta. Chi alzerà la voce? La UEFA, dove il patron del PSG Al Khelaifi la fa da padrone, sicuramente no. La FIFA, luogo di scandali e corruzione presieduta da Infantino (presidente onorario del Qatar), anche meno. Neanche l’idolo del popolo Lionel Messi, il quale ha prima rifiutato l’Al-Hilal per poi firmare un accordo di sponsorizzazione da 30 milioni per promuovere lo splendido Qatar in vista dei mondiali del 2030.
L’unica speranza rimasta è quella che il campionato saudita collassi su se stesso, facendo la fine dei meno organizzati (o meno corrotti) corrispondenti cinesi e americani, lasciando una volta per tutte il calcio a coloro che storicamente lo hanno nella propria cultura. Perchè così come oggi non ci fa più effetto vedere cattedrali di luce e giochi d’acqua in mezzo al deserto, domani ci sembrerà normale che in un paese dove ancora esiste la schiavitù un calciatore guadagni 500 milioni a stagione. E allora ecco che prenderà forma la disillusione forzata dei veri appassionati, la gente normale, che paga col disgusto l’amore per il gioco.