Valeriy Lobanovskyi, il mentore di Shevchenko che ha cambiato il calcio

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Se il calcio oggi è quello che conosciamo, dobbiamo dire grazie a Johan Cruijff, il maestro olandese che ha diviso il calcio in “prima” e “dopo” grazie al suo calcio totale mostrato con Ajax, Barcellona e Olanda. Ma in pochi sanno che nello stesso momento, a circa milleduecento km ad est di Amsterdam, un allenatore sovietico, Valeriy Lobanovskyi, praticava il calcio del futuro.

Analisi dei dati statistici, gioco propositivo, triangolazioni e pressing alto: la rivoluzione di Valeriy era in atto. Eppure oggi, quando pensiamo ai più grandi manager della storia in pochi, o forse in pochissimi, ricordano il nome del grande Lobanovskyi. Per questo motivo oggi vi racconteremo la storia del pioniere dimenticato del calcio moderno, del calcio del futuro.

IL CALCIO TOTALE

Le sue squadre hanno rappresentato l’emblema del Calcio Totale. La sua Dinamo Kiev riusciva a competere con le grandi del calcio europeo, per di più praticando un bel calcio. Difatti con il club ucraino ha vinto 8 titoli sovietici, 6 Coppe sovietiche, 3 Supercoppe sovietiche, 5 titoli della Lega nazionale ucraina, 3 Coppe ucraine, 2 Coppe delle Coppe europee, 1 Supercoppa europea, 1 campionato di Serie B sovietica,  . Per la prima volta, dunque, una squadra dell’Est è riuscita a vincere un trofeo internazionale.

 

Ma oltre al “Total Football” Valeriy aveva un altro ingrediente segreto: la statistica. L’allenatore si è infatti servito di un matematico che lo aiutasse a creare i suoi modelli statistici sul modo di giocare degli avversari, i quali avrebbero portato a studiare strategie per controbatterli. Il suo nome era Zelentsov ed ebbe un ruolo chiave nel successo della Dinamo Kiev di Lobanovskyi. I due elaborarono una serie di dati, secondo i quali:

“Una squadra che commette errori in non più del 15-18% dei suoi atti è imbattibile”

E per arrivare a questo risultato, Valeriy preparava attentamente i suoi allenamenti per fare in modo che i suoi giocatori riuscissero a leggere il gioco collettivamente in anticipo. Chiunque doveva sapere dove passare la palla prima ancora di riceverla, così da creare un ritmo elevato di gioco che metteva in costante difficoltà gli avversari. Inoltre, ogni giocatore doveva imparare a memoria una serie di giocate che sarebbero state poi riprodotte in partite, così da azzerare il tasso di errore.

L’INGREDIENTE SEGRETO: LA MATEMATICA

Una delle stanze chiave del loro successo era la così detta “sala di analisi video“. In questo ambiente si trovava un grandissimo schermo diviso in nove parti, dove venivano analizzate partite ed allenamenti. Ogni interprete di gioco veniva studiato con attenzione e gli veniva assegnata una valutazione in base ad: ‘intensità’, ‘attività’, ‘tasso di errore’, ‘efficacia’ (‘assoluto’ e ‘relativo’) e ‘realizzazione’. Prima di ogni partita, in base all’avversario che avrebbero affrontato, veniva scelta la formazione per mezzo delle valutazioni che l’analisi dati assegnava ad ogni calciatore.

L’opposto di Cruijff, che odiava la statistica e l’uso dell’analisi dati nel calcio tanto da affermare:

“Voglio che le persone pensino da sole e che prendano la decisione migliore per la situazione sul campo. Non ho nulla contro i computer, ma i calciatori vanno giudicati in modo intuitivo e con il cuore”.

Due filosofie di calcio ben diverse, ma che hanno portato allo stesso risultato: il Calcio Totale.

IL CALCIO DEL FUTURO

E se l’influenza di Cruijff è stata sicuramente immensa nel calcio di oggi, possiamo invece dire che Valeriy applicava il calcio del futuro, che per certi versi risulta addirittura avanguardistico ai nostri occhi. Egli si è formato come ingegnere del riscaldamento intorno agli anni ‘60, quando l’Unione Sovietica rappresentava la massima rappresentazione del progresso scientifico e tecnologico. Questo studio gli ha lasciato in eredità una visione empirica e razionale della vita, che è stata poi applicata al calcio grazie al suo amico Zelentsov. Insieme sono arrivati alla conclusione che il calcio andasse scomposto nella sua forma più semplice possibile, due sistemi composti da 11 giocatori.

A questo punto sono arrivati ad un’altra conclusione: l’efficienza di una squadra era maggiore dell’efficienza della somma di giocatori che lo compongono. In poche parole, una squadra che lavora insieme ad un unico obiettivo otterrà più risultati rispetto ad una che si affida al talento individuale.

La vera differenza tra Lobanovskyi e Cruijff sta nel modo col quale hanno introdotto il concetto di Calcio Totale. Entrambi amavano il pressing alto, ma solamente il primo lo ha fatto con la logica infallibile delle statistiche. Al giorno d’oggi, sarebbe impossibile provare a leggere una partita senza l’uso dei dati. Possesso palla, tiri in porta, calci d’angolo, km percorsi, passaggi completati sono solamente alcuni dei tantissimi dati a cui si ha accesso al termine di un match per valutare le prestazioni singole e collettive. Quando il resto del mondo non sapeva neanche cosa fossero, Lobanovskyi già li studiava e li comprendeva.

IL PERSONAGGIO

Oltre ad essere un grandissimo allenatore, Lobanovskyi è stato conosciuto anche per i suoi metodi rigorosi. Per riuscire ad applicare le sue filosofie di gioco, gli interpreti dovevano avere incredibili doti atletiche. Per questo gli allenamenti del “Colonnello” Valeriy erano rigidissimi. All’ordine del giorno c’erano esercizi come “la salita della morte“, una lunghissima salita con pendenza al 16-17% da completare entro un tempo prestabilito: solo chi la riusciva a completare sarebbe entrato in squadra.

La disciplina era parte integrante del progetto Lobanovskyi. Si dice che una volta abbia beccato un suo calciatore ubriaco prima di una partita. La reazione? Lo ha messo a fare il giardiniere della squadra per 5 mesi, salvo poi venderlo ad una squadra di serie inferiore. Insomma, chi voleva giocare nella Dinamo Kiev di Valeriy doveva rigare dritto, proprio come in una caserma. Per questo motivo era conosciuto con il soprannome di “Colonnello“.

Ma nonostante i suoi modi di certo non proprio amorevoli, instaurava un rapporto speciale con i suoi calciatori: gli dava fiducia e li aiutava a realizzare il loro sogno di diventare calciatori. Uno di questi fu l’attaccante del Milan Andriy Shevchenko, che entrò nella storia del calcio proprio grazie alla dura disciplina di Lobanovskiy.

In pochi sanno che Shevchenko era dipendente dal tabacco. Solo il “Colonnello” riuscì a fargli dire addio alle sigarette tramite un’iniezione endovena di nicotina, che gli provocò una sindrome da rigetto. Da lì in poi divento la stella più brillante della macchina perfetta che era la Dinamo Kiev. Ed oggi che Andriy è diventato un allenatore si ispira anche al metodo di gioco di chi, per cinque stagioni, lo ha condotto, insegnandogli parte del bagaglio tecnico e tattico che gli ha permesso di diventare il calciatore che ricordiamo oggi.

Valeriy ci ha lasciato nel 2002, quando un attacco di cuore nel bel mezzo di una partita lo uccise. Da allora il suo nome è quasi sparito dal panorama del calcio mondiale, non rendendogli giustizia per tutto ciò che ci ha lasciato in eredità. Chissà che non possa essere il suo figlioccio, diventato qualche giorno fa allenatore del Genoa, a restituirgli la fama che merita. Perché, come è iscritto sulla sua lapide:

“Siamo vivi finchè siamo ricordati”.

Fonte immagine di copertina: diritto Google creative commons

SalvatoreS