TB Diez – Lo Shakhtar Donetsk sul tetto d’Europa

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Lo Shakhtar Donetsk è oggi una realtà affermata del calcio europeo. Il suo nome apparve con decisione sulla cartina del calcio europeo circa un decennio fa, in un’annata ben precisa che avrebbe segnato un piccolo, ma importante cambiamento, nella storia del calcio europeo: la stagione 2008-2009, l’ultima annata in cui la seconda più importante competizione europea si sarebbe chiamata Coppa UEFA.

LA SQUADRA

Partiamo dalla materia prima, i giocatori. Lo Shakhtar è sull’orlo di una svolta non solo dal punto di vista dei risultati, ma anche – e soprattutto – per quanto riguarda l’organico: la rosa si sta arricchendo di una serie di talenti brasiliani (a cui se ne sarebbero aggiunti altri negli anni successivi) destinati a fare la storia del club e a costruirsi un nome inseguito dai taccuini di tanti grandi club. Non una totale novità dato che già negli anni precedenti, a vestire la maglia arancionera, erano stati Matuzalem (che si trasferisce alla Lazio nel 2007) ed Elano (uno dei primi grandi acquisti della proprietà araba del Manchester City).

In porta c’è Andrij Pyatov, che ancora oggi difende i pali della porta arancio-nera: non uno dei punti di forza della squadra, sin dalla giovane età. In difesa si sta facendo strada Dmytro Chygrynskiy, che un anno dopo si sarebbe guadagnato una chance nientepopodimeno che al Barcellona di Pep Guardiola: i 25 milioni di euro forse peggio spesi della storia del club blaugrana, dato che il giocatore collezionerà una manciata di presenze prima di tornare nuovamente alla base.

Il leader del reparto e della squadra è ovviamente il grande capitano Darijo Srna, uno dei terzini destri più completi degli ultimi anni: con il suo destro fatato ha segnato più di 60 gol e messo a referto più di 150 assist tra club e nazionale, ma donando la sua carriera alla causa dello Shakhtar ha perso forse l’opportunità di mostrare i suoi talenti ad un pubblico più vasto, ottenendo il credito che si sarebbe meritato.

Darijo Srna, uomo e capitano: poche ore dopo essere stato in patria per assistere al funerale del padre, è in Francia per guidare la Croazia nel match contro la Repubblica Ceca ad EURO 2016 (Fonte: profilo Twitter @SquawkaNews)

A centrocampo il roccioso Fernandinho è già una colonna della squadra. Ha già 115 presenze all’attivo con il club e, oltre ai tanti pregi che gli vengono riconosciuti oggi, ha anche un gran feeling con il gol (segnerà un totale di 31 gol tra il 2007 e il 2010). Arretrando progressivamente da vertice basso e, quest’anno, addirittura centrale di difesa, i numeri sono venuti meno.

Con lo Shakhtar Donetsk, Fernandinho ha collezionato 284 presenze e 53 gol in ben 8 stagioni (Fonte: profilo Twitter @EuropaLeague)

La fantasia è affidata, tra gli altri, ad un giovanissimo Willian (prima ancora che sviluppasse la sua folta chioma) e al trequartista Jadson, uno dei tanti estrosi brasiliani che non ha mai fatto il grande salto (ma che si è tolto la soddisfazione di vestire la maglia della Seleção per 9 volte, vincendo anche la Confederations Cup del 2013). Ai gol ci deve pensare un altro brasiliano di belle speranze (poi non rispettate al di fuori dell’Ucraina): un 21enne Luiz Adriano con già due stagioni alle spalle sotto la guida di Lucescu.

Luiz Adriano ha avuto modo di giocare con due Willian: allo Shakhtar ma anche al Palmeiras, con cui oggi condivide il reparto d’attacco (Fonte: profilo Twitter @RandomWorldFoo1)

Proprio la guida di quella squadra, Mircea Lucescu, è meritevole di un paragrafo a parte.

LA GUIDA

Alla guida dello Shakhtar Donetsk, Lucescu ha vinto 22 dei 34 trofei sollevati in carriera (Fonte: profilo Twitter @EuropaLeague)

Il collegamento tra Lucescu e lo Shakhtar Donetsk scatta immediato, ma non bisogna incorrere nell’errore di dimenticare tutto ciò che il guru rumeno ha fatto, da giocatore e da allenatore, prima di scrivere la storia del club ucraino.

Il Lucescu giocatore non ha lasciato grandi ricordi di sé (una carriera limitata al proprio paese e con un’ottantina di gol all’attivo), ma è da ricordare l’esperienza ai Mondiali di Messico ’70 con la Romania, di cui era capitano. In un girone di ferro, con Brasile, Inghilterra e Cecoslovacchia, la Romania chiuse con soli 2 punti (ottenuti battendo la Cecoslovacchia) ma spaventò parecchio sia l’Inghilterra di Bobby Moore (perdendo appena 1-0) che il Brasile di Pelé (con cui perse per 3-2). Durante quei Mondiali, peraltro, è da segnalare un episodio curioso, un altro contatto tra Lucescu e il calcio brasiliano (che, chissà, forse ha influito sulla sua carriera allo Shakhtar segnata dai talenti verdeoro). Durante la competizione il Fluminense cercò di ingaggiarlo per 3 mesi e inviò una lettera al governo rumeno per chiedere informazioni sulla fattibilità dell’operazione: a quei tempi era proibito uscire da un paese comunista, per cui il Brasile per Lucescu rimase solo un’oasi lontana.

Da allenatore, Lucescu ha certamente vissuto il suo periodo d’oro certamente in Ucraina. Se, tuttavia, i trofei sollevati da manager ammontano a 34, numeri che lo consacrano a secondo allenatore più vincente di sempre (dietro solo a Sir Alex Ferguson), lo si deve anche ad altre sue esperienze. Negli anni da allenatore ha avuto modo di vincere e conquistare i tifosi di tanti paesi diversi: dopo anni passati in Romania (e trionfi con Rapid e Dinamo Bucarest), ha lasciato i suoi insegnamenti in Italia, dove ha vinto poco (un campionato di Serie B e una coppa anglo-italiana col Brescia) ma allenato, tra le altre, anche l’Inter (seppur solo per qualche mese); è stata poi la volta della Turchia, dove ha vinto con il Besiktas e, soprattutto, con Galatasaray (con cui ha vinto, oltre ad un campionato, anche una Supercoppa Europea battendo il Real Madrid di Raúl, Figo e Roberto Carlos).

25 agosto 2000: il Galatasaray festeggia la vittoria della Supercoppa Europea (Fonte: profilo Twitter @ChampionsLeague)

Si giunge dunque all’esperienza ucraina, con cui ha lasciato un segno ben più indelebile dei soli trofei: o almeno, era in procinto di farlo in quella stagione 2008-2009.

IL PERCORSO

Per anni una cenerentola del calcio europeo, il cambiamento in casa Shakhtar è nell’aria. Già nel 2007-2008 la squadra aveva disputato per la prima volta la fase a gironi della Champions League, concludendo con 6 punti all’ultimo posto di un girone con Celtic, Benfica e Milan.

Gli ottavi sfuggono anche nella stagione successiva, ma il progresso è evidente: gli ucraini chiudono con 9 punti, dietro allo Sporting Lisbona (12) e al Barcellona (13). Proprio il Barcellona, al Camp Nou, viene sorpreso (pur già qualificato e con diverse seconde linee in campo) dalla banda di Lucescu: finisce 2-3 per gli ucraini, una vittoria che garantisce il 3° posto nel girone e, dunque, la discesa in Coppa UEFA. E quale miglior occasione se non l’ultima edizione della così denominata Coppa UEFA, per dare la definitiva sterzata ad un gruppo giovane e talentuoso?

Ai sedicesimi lo Shakhtar pesca una delle grandi favorite della competizione sulla carta, il Tottenham: gli Spurs hanno cambiato la guida tecnica da Juande Ramos a Harry Redknapp (che scriverà un pezzo di storia del club negli anni successivi) e nonostante navighino in acquee turbolente possiedono tanti giocatori di talento nella propria rosa. Tra turnover (per concentrarsi in ottica campionato, dove la squadra è a metà classifica), squalifiche e infortuni Redknapp deve però fare a meno, di fatto, di tutti i propri migliori elementi: Bale, Modric, Lennon e Defoe tra gli altri. Risultato: passa lo Shakhtar vincendo per 2-0 all’andata e pareggiando 1-1 a Londra.

A quel punto la squadra di Lucescu avanza potendo evitare i maggiori pericoli (come il Milan, eliminato dal Werder Brema per gol in trasferta, o il Manchester City di al-Mubarak, eliminato dall’Amburgo): gli ucraini devono comunque avere la meglio sul CSKA Mosca, sul Marsiglia (che terminerà la stagione al 2° in Ligue 1, a -3 dal Bordeaux campione) e sulla Dinamo Kiev (che si rifarà vincendo il campionato con un netto vantaggio di +15).

FINALE

L’ultimo ostacolo si chiama Werder Brema, che sta vivendo una delle sue ultime stagioni di gloria prima del crollo che ha ridimensionato il club, da diversi anni, alla lotta per la salvezza. Ha quasi eliminato l’Inter di Mourinho dal girone di Champions League, è in finale di Coppa di Germania (che vincerà) e ha eliminato una serie di avversari non indifferenti: il Milan di Ancelotti ai sedicesimi, l’Udinese ai quarti e l’Amburgo (che ha eliminato il City) in semifinale.

Il trio delle meraviglie di quel Werder Brema (Fonte: profilo Twitter @InvictosSomos)

La rosa è ricca di giocatori di talento ed esperienza: Mertesacker, Naldo, il veterano Frings, un giovanissimo Mesut Özil e soprattutto due giocatori offensivi in particolare. Il primo è una vecchia volpe d’area di rigore come Claudio Pizarro, che sta vivendo la sua miglior stagione dal punto di vista realizzativo: chiuderà con 28 gol all’attivo. L’altro è un talento brasiliano che ha su di sé gli occhi di mezza Europa, Diego Ribas da Cunha. Anche lui sta vivendo l’annata della carriera (e rimarrà tale): sta segnando, da tre stagioni, con la regolarità di un attaccante (15 gol nella prima stagione in Germania, 18 gol nella seconda e chiuderà con 21 gol la terza e ultima al Werder) e lo sta facendo in tutte le maniere possibili. Di forza, di precisione, da dentro e fuori l’area, in acrobazia, salta difensori e portieri come birilli: sarà anche perché copre la stessa posizione ed esulta guardando il cielo, ma ricorda terribilmente Kakà. In nazionale ci gioca già dal 2003, quando era appena maggiorenne e giocava ancora nel Santos.

In quell’edizione della Coppa UEFA, Diego segnò 6 gol: record assoluto nella storia del club (Fonte: profilo Twitter @SquawkaFootball)

Nella serata di Istanbul però il Werder deve fare a meno proprio di Diego, squalificato per somma di ammonizioni. La squadra di Schaaf perde naturalmente  molto del proprio brio offensivo e si deve aggrappare alle insicurezze di Pyatov. Le frecce brasiliane dello Shakhtar, invece, sembrano imprendibili ogni volta che attaccano in profondità. Luiz Adriano la sblocca con un delicato pallonetto, un’indecisione di Pyatov (non l’unica di quella sera) su punizione di Naldo porta il punteggio in parità. L’asse Srna-Jadson, al 7′ del primo tempo supplementare, porta la squadra di Lucescu in vantaggio per 2-1 e al trionfo finale.

È il primo grande tassello dello Shakhtar Donetsk di Lucescu a livello europeo: stanno per arrivare nuovi talenti e nuovi grandi risultati che lo renderanno un temutissimo avversario anche in Champions League.

(Fonte immagine in evidenza: profilo Twitter @EuropaLeague)